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Dalla Corte costituzionale due obiezioni sul legittimo impedimento

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 06:37.

Otto minuti: tanto è il tempo impiegato da Sabino Cassese - nell'aula di udienza di palazzo della Consulta gremita di fotografi e giornalisti - per mettere a fuoco i «problemi fondamentali» della legge sul legittimo impedimento. Un tempo brevissimo, persino inconsueto per riassumere i termini di un giudizio di costituzionalità, ma sufficiente a capire che per il giudice relatore (e non solo per lui) la legge n. 51 del 2010 voluta dalla maggioranza per mettere il premier Berlusconi al riparo dai processi Mills, Mediaset e Mediatrade fa acqua da molte parti.

Tanto che Cassese - professore e conferenziere in Italia e nel mondo - conclude "interrogando" gli avvocati del premier Niccolò Ghedini e Piero Longo, nonché i due rappresentanti dell'Avvocatura dello stato, sui «due problemi fondamentali: l'ambito del legittimo impedimento e i poteri di controllo del giudice». «I fatti o eventi individuati dalla legge come ipotesi di legittimo impedimento sono indicati in modo specifico o generico?», chiede. E poi: «Residuano dei poteri di controllo del giudice? E questi poteri possono svolgersi solo sulla sussistenza del fatto-evento o anche sulla concomitanza?».
Indeterminatezza e automatismo: in estrema sintesi sono queste le criticità di una legge che - secondo le primissime indiscrezioni - sarebbe incostituzionale per 8 dei 15 giudici costituzionali perché deroga alla disciplina ordinaria del legittimo impedimento e, quindi, introduce una prerogativa in capo al premier, da disciplinare con legge costituzionale. L'impedimento «continuativo» previsto dalle norme impugnate, infatti, non può che essere generico perché riguarda eventi futuri, così come generiche rischiano di essere le attività «preparatorie, consequenziali e coessenziali» alla funzione di governo. Tanto più a fronte di un sindacato del giudice di cui è incerto il perimetro: il problema non è tanto il controllo sul fatto-impedimento, ma sull'ineluttabilità della sua concomitanza con l'udienza. Tanto più se l'impegno fatto valere dal premier non è centrale (una cosa è l'incontro con Obama, altra cosa la preparazione dell'incontro). Quanta voce in capitolo ha il giudice sul punto? Se la risposta è: «nessuna», l'impedimento si trasforma in prerogativa e porta dritto alla bocciatura della legge. Una soluzione sostenuta da alcuni giudici mentre altri, pur convinti dell'incostituzionalità, propongono un compromesso: recuperare le due criticità o con una sentenza «interpretativa di rigetto» o con una sentenza «manipolativa».

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«A me pare che tutti concordino sul fatto che scopo della legge è stabilire un equilibrio tra le esigenze della giurisdizione, l'esercizio del diritto di difesa e la tutela della funzione di governo - ha detto Cassese -. Il problema è se la tutela del secondo e del terzo interesse produce il sacrificio del primo».
Nessun sacrificio rispondono gli avvocati. Ghedini è convinto che i giudici di Milano abbiano sbagliato a censurare la legge invece di darne un'interpretazione «costituzionalmente orientata» che esclude qualunque automatismo e indeterminatezza. Le nuove norme, infatti, «tipizzano» gli impegni del premier, «conservano il potere del giudice di sindacare il legittimo impedimento» e non pregiudicano la «speditezza» del processo (concetto «opinabile», ha precisato, che andrebbe «coniugato con la realtà processuale visto che un rinvio di 1 o 4 mesi è del tutto fisiologico»). Ghedini mantiene la promessa fatta al presidente della Corte Ugo De Siervo di essere breve; Longo si dilunga un po' di più (e qualche giudice si appisola) per escludere l'automatismo: «Il giudice può chiedere delucidazioni e chiarimenti» anche sulle attività coessenziali e preparatorie, purché «non entri nel merito dell'opportunità di svolgere quelle attività». Altrimenti, ribadisce anche l'avvocato dello Stato Michele Dipace, invaderebbe «la sfera dell'attività governativa». «Il giudice può verificare la sussistenza dell'impedimento e se rientra nelle ipotesi previste dalla legge - spiega Dipace - ma non può sindacare se sia opportuno o necessario fare un Consiglio dei ministri proprio in coincidenza dei giorni di udienza, come invece è stato fatto a Milano».

Dopo l'udienza Ghedini dice di essere «ottimista», poi va a palazzo Grazioli, da Berlusconi, insieme al ministro della Giustizia Alfano. Al centro dell'incontro, la decisione della Corte prevista per domani, le preoccupazioni per una possibile bocciatura e gli effetti del verdetto sul referendum (oggi è previsto il via libera della Corte), che potrebbe saltare solo con la bocciatura totale della legge, non anche con soluzioni di compromesso. Meno che mai se la Consulta promuovesse la legge o dichiarasse inammissibili le censure di costituzionalità, senza entrare nel merito: ma sembrano due ipotesi remote.

GLI SCENARI

Le ipotesi del via libera
Sarebbero cinque i giudici convinti della legittimità costituzionale del legittimo impedimento e pronti a promuovere la legge, respingendo le censure mosse dal Tribunale di Milano. Secondo loro, la legge 51 del 2010 si limita a tipizzare le attività di governo che costituiscono legittimo impedimento, senza togliere al giudice il potere di sindacarne la sussistenza. Ma la legge potrebbe uscire indenne dal giudizio di costituzionalità qualora la Corte dichiarasse inammissibili le censure dei giudici milanesi, senza entrare nel merito

Le ipotesi dello stop
La maggioranza della Corte - 7-8 giudici - propende per l'incostituzionalità della legge, che potrebbe essere bocciata in tutto o in parte. Nel primo caso perché, così com'è, deroga alla disciplina del Codice di procedura penale, introducendo una prerogativa in capo al premier. Nel secondo caso perché carente sul punto dell'impedimento continuativo
(fino a sei mesi) soprattutto se riferito ad attività «coessenziali» a quelle governative ma anche perché esclude che il giudice possa sindacare la sussistenza dell'impegno e la sua concomitanza con l'udienz

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