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Sassi (e internet) contro i blindati. La rivolta dei giovani della Tunisia che hanno fame di futuro

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 16:47.

La rivolta dei giovani che ha incendiato la Tunisia e l'Algeria prima, le repressioni sanguinose di questi giorni, dei regimi polizieschi e di fatto dittatoriali di Zine el-Abidine Ben Ali e di Abdenaliz Boutlefika sono un film drammatico. Già visto, sui libri di storia. Milano, 1898: l'esercito guidato dal generale Bava Beccaris fa un centinaio di morti sparando sulla gente disarmata che protestava contro l'aumento del pane… I giovani di Tunisi e di Algeri che protestano oggi hanno fame tout court, ma anche fame di futuro e sete di giustizia. Il finale del film questa volta non è stato scontato. Ha pensato internet a sparigliare le carte. A organizzare la guerriglia 2.0 dei giovani tunisini. Ben Ali è fuggito. Si voterà entro 60 giorni. La transizione pacifica non è affatto scontata.

La cyber rivolta 2.0 dei giovani tunisini in dieci punti

Più di ottanta morti
Negli scontri violenti che sono avvenuti nelle periferie di Tunisi e nelle altre città, nonostante il coprifuoco, sono morte più di ottanta persone finora. Tutte civili. La Federazione internazione dei diritti dell'uomo (Fidh) tiene la conta aggiornata dei morti e dei feriti con i loro nomi. Tra le ultime vittime c'è un professore universitario franco-tunisino di 38 anni ucciso da un colpo di fucile, e una cittadina svizzera di 65 anni, un'infermiera in pensione di origine tunisina, uccisa da una pallottola vagante mentre guardava dal balcone di casa sua gli scontri in strada a Dar Chabane.

Il silenzio dell'Europa
I paesi del Nord Africa sono retti da dinastie, da clan di potere politico ed economico, che governano da decenni con il sostegno delle diplomazie occidentali. In queste settimane la cosa che colpisce è il silenzio della Francia, dell'Italia, dell'Europa. L'Unione europea protesta sempre, che si tratti di diritti umani per il Myanmar o per lo Zimbabwe. Ma per la Tunisia, a un'ora e mezza da Parigi, l'Europa tace», commenta amaro Sihem Bensedrine, portavoce del Consiglio nazionale per le libertà in Tunisia (Cnlt). «I massacri - ricorda - non a caso sono cominciati all'indomani della visita del ministro degli Esteri tunisino in Francia. Francia che ha sempre sostenuto la dittatura di Ben Ali».

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, tanto più viva dopo l'11 settembre, si tollera tutto. Si giustifica il sostegno occidentale ai governi del Nord Africa, la corruzione, il clientelismo, la mancanza di una reale opposizione, l'autoritarismo, il regime poliziesco. La deriva islamista è una giustificazione ma anche un alibi. Ben Ali. nei giorni scorsi, ha descritto i rivoltosi come «terroristi al servizio di forze straniere». Ma il sangue di questi giorni non si può giustificare e il silenzio dei governi europei, più che di prudenza diplomatica ha il sapore della complicità.

Sviluppo economico e democrazia
Il sostegno ai regimi corrotti del Maghreb se da un lato garantisce stabilità politica, dall'altro genera l'arricchimento senza limiti di una parte minima della popolazione, del clan familiare che circonda il potente di turno. Questo stato di ingiustizia sociale è come benzina sul fuoco del fondamentalismo. L'Europa non può continuare a ignorare che la frontiera a Sud brucia. Non lo permettono le dinamiche demografiche. Secondo le proiezioni, i paesi del Maghreb, dove il 40% della popolazione è costituita da giovani, devono creare dai 10 ai 15 milioni di posti di lavoro per garantire crescita economica, stabilità politico-sociale.

Il modello è la Turchia, la Cina dietro l'angolo
E per inseguire, in definitiva, uno sviluppo simile a quello della Turchia, la Cina dietro l'angolo, modello per questi paesi a maggioranza musulmana. Ma per come sanno andando le cose in questi giorni ci si chiede come cu si potrà arrivare. La disoccupazione piuttosto è destinata a peggiorare, così come l'emigrazione clandestina verso l'Europa. Non bastano i programmi di partneriato verso l'area meditarranea. Non bastano i soldi (che ci sono ma che se finiscono nelle tasche di pochi legati ai clan come ora fanno più male che bene). Quello che possono fare i paesi europei è pretendere o spingere questi paesi del maghereb verso partiche fi buon governo. Legare gli aiuti finanziari e il sostegno politico a processo che porti a una aumento reale della democrazia. Perché, come ha scritto Alram Belkaid, sul quotidiano di Oran, «solo la democrazia reale può creare le condizioni per permettere un vero sviluppo economico della regione».

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