Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 15:37.
PARIGI – Imbarazzi, reticenze, dichiarazioni maldestre. Gli ultimi giorni del regime di Ben Ali a Tunisi sono stati vissuti a Parigi con estrema difficoltà. Comprensibile, se si fa un passo indietro. E se si ripercorre il lungo cammino di amicizia che ha legato il dittatore con la Francia, da François Mitterrand a Nicolas Sarkozy, passando per Jacques Chirac. Proprio a quest'ultimo, nel 2003, in una trasferta nel Paese nordafricano, i giornalisti chiesero lumi sulla democrazia in Tunisia. «
Il primo dei diritti dell'uomo è mangiare. E poi essere curato, ricevere un'istruzione e avere una casa – sottolineo' l'allora presidente francese -. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che la Tunisia è molto in avanti rispetto ad altri Paesi». Si', passo e chiudo. Niente da aggiungere.
Non stupisce che nelle quattro settimane di proteste che hanno preceduto la caduta di Ben Ali' nessuna parola di critica alla repressione poliziesca sia arrivata dai dirigenti francesi. E, quando, martedi' scorso, la situazione comincia seriamente a precipitare, Michèle Alliot-Marie, ministro degli Esteri, dichiara che Parigi mette a disposizione di Tunisi il suo «know how per le forze di sicurezza» cosi' «da risolvere le situazioni di questo tipo», dato che, secondo la signora, «il diritto a manifestare deve essere assicurato, ma anche la sicurezza». Il ministro chiosa: «La pacificazione puo' riposare sull'applicazione delle tecniche di mantenimento dell'ordine». Insomma, Parigi si rende disponibile ad aiutare la repressione poliziesca di Ben Ali…
Non paga, Alliot-Marie rincara la dose mediante un comunicato stampa del suo ministero il giovedi': «La Francia dispone di un know how riconosciuto in materia di mantenimento dell'ordine pubblico nel rispetto dell'uso proporzionato della forza cosi' da evitare vittime». Venerdi', quando ormai la situazione precipita, dopo una serie di comunicati succinti e quasi incomprensibili, la sera l'Eliseo «prende atto della trasizione costituzionale annunciata dal primo ministro Ghannouchi». Niente di più. Mentre le altre potenze occidentali, in primis gli Usa di Obama, avevano da tempo speso parole di sostegno più «convincenti» alle forze della protesta e ai rappresentanti dell'opposizione.