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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2011 alle ore 14:15.
Più di 800 pagine per raccontare l'Italia, un paese per certi versi ancora "per vecchi", ma dove qualcosa sta cambiando: in alcune regioni, infatti, l'indice di vecchiaia è in calo. Così come esistono punti di forza, come l'efficienza energetica e la speranza di vita che continua a crescere, ma anche ormai annose debolezze (una sorta di welfare privato garantito dall'impegno delle famiglie e tassi di natalità in aumento per merito dei cittadini immigrati).
A disegnare il quadro della situazione socio-economica nazionale il rapporto "Noi Italia" dell'Istat, un dossier che attraverso 100 statistiche tematiche mette insieme «i diversi aspetti economici, sociali, demografici e ambientali del nostro paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle differenze regionali che lo caratterizzano» (il dossier è disponibile all'indirizzo http://noi-italia.istat.it).
Cento statistiche su 19 settori, dalla sanità all'ambiente
I settori esaminati sono 19, tra i quali la sanità, l'istruzione, l'ambiente e la popolazione. Per quanto riguarda quest'ultimo, «l'Italia è il quarto paese per dimensione demografica con quasi il 12 % dei circa 500 milioni di abitanti dell'Unione Europea. Dal 2001- si legge nel dossier - la popolazione ha ripreso a crescere al ritmo di 0,7% l'anno, per effetto della crescita delle nascite e, soprattutto, dell'immigrazione».
Riguardo l'anzianità della popolazione, viene inserita tra quei fenomeni «in evoluzione»: a livello nazionale «dal 1° gennaio ci sono 144 anziani ogni 100 giovani; in Europa, solo la Germania presenta un indice di vecchiaia più accentuato. La regione più anziana è la Liguria». Ci sono, però, regioni come quelle nel nord-est del paese in cui l'indice della vecchiaia è in calo «perché ad esempio l'immigrazione si concentra in quell'area.
Ci sono poi dati preoccupanti, come quello per cui un giovane su cinque non studia, né lavora (i ragazzi «non più inseriti in un percorso scolastico-formativo, ma neppure impegnati in un'attività lavorativa, sono poco più di due milioni, il 21,2% tra i 15-29enni (anno 2009), la quota più elevata a livello europeo») e quello per cui «la quota di unità di lavoro irregolari è pari all'11,9%. Nel Mezzogiorno può essere considerato irregolare quasi un lavoratore su cinque; nell'agricoltura circa uno su quattro».