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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 08:04.
Cyberwar, guerra convenzionale o anti-insurrezionale? In tempi di tagli ai bilanci della Difesa che accomunano tutto l'Occidente, inclusi gli Stati Uniti, stabilire le priorità sulle quali investire per far fronte alle minacce presenti e future diventa un esercizio sempre più arduo. Anche perché le analisi strategiche e i report dai campi di battaglia forniscono risposte spesso contraddittorie e una tipologia di minaccia non esclude le altre.
Sul fronte afghano la Nato affronta un nemico che utilizza la rete per la propaganda ma che recluta i miliziani in aree dove l'information age non è mai arrivata. Lo dimostra un rapporto dell'International Council on Security and Development dal quale emerge che il 92% dei mille afghani intervistati nelle province di Helmand e Kandahar è all'oscuro degli attentati dell'11 settembre 2001 e quindi del motivo che ha portato le truppe alleate in Afghanistan. Una mancanza di consapevolezza che secondo il presidente dell'Icos, Norine MacDonald, «contribuisce alla percezione negativa della popolazione nei confronti dei militari della Nato e favorisce l'azione dei talebani». La contro-insurrezione, prioritaria in Afghanistan, potrebbe non esserlo in altri teatri operativi.
La crisi coreana si gioca su un rischio di guerra convenzionale (con teoriche potenzialità nucleari) mentre il potenziamento aero-navale cinese ha scatenato in Asia orientale una corsa al riarmo anche in questo caso convenzionale.
Nell'intervista pubblicata ieri dal Sole 24 Ore il professor John Arquilla, della Naval Postgraduate School di Monterey, sostiene che di fronte alle minacce portate da network non statali «abbiamo bisogno di meno portaerei, di meno navi, di meno soldati». Una tesi che trova conferma nella considerazione che a rallentare il programma nucleare iraniano ha contribuito più il virus informatico Stuxnet, messo a punto secondo il New York Times dai tecnici israeliani e statunitensi, della minaccia di bombardamenti aerei. Negli anni scorsi anche Mosca ha utilizzato cyber attacchi per paralizzare le reti di Estonia e Georgia, mentre la Cina studia virus per mandare in tilt la catena di comando e controllo di Taiwan, anche se finora i suoi hacker sembrano interessati più al cyber spionaggio per carpire i segreti militari statunitensi, come hanno confermato recentemente il Pentagono e il colosso industriale Lockheed Martin. La minaccia cibernetica riguarda anche obiettivi civili (reti energetiche, governative, infrastrutturali), più vulnerabili di quelle militari ma altrettanto importanti. La Nato nel 2008 ha aperto in Estonia un centro d'eccellenza per le ricerche in questo campo e ha inserito i cyber attacchi nel suo concetto strategico. «I nostri sistemi di sicurezza vengono attaccati un centinaio di volte al giorno», aveva dichiarato in ottobre il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen.