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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 07:48.
Alla fine la roulette delle addizionali Irpef si ferma sull'aumento selettivo proposto dal governo, limitato ai comuni dove oggi si applica un'aliquota inferiore al 4 per mille; per ottenere il «sì» dei comuni, però, il testo nuovo del decreto che il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli permette porta sui tavoli della bicamerale traccia la rotta per gli aumenti 2011. In pratica, i comuni che rientrano nei parametri potranno iniziare a deliberare gli aumenti, anche se la disciplina effettiva entrerà in vigore dopo il 31 marzo, termine ultimo per approvare i bilanci.
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Il compromesso presenta un quadro frastagliato: la semilibertà fiscale è lasciata solo a chi oggi arriva a un'aliquota inferiore al quattro per mille. I comuni in questa condizione possono introdurre aumenti massimi del 2 per mille, senza però superare il 4 per mille che rappresenta il nuovo tetto di riferimento. Per chi già oggi è a questo livello, oppure ne ha raggiunto uno superiore (il massimo di legge è l'8 per mille, con l'eccezione di Roma che applica il 9 per mille grazie alle norme sulla Capitale) non c'è nessuna possibilità di intervento. In pratica, nella prima fase potrebbero agire 3.543 comuni, poco meno del 44% del totale: 3.078 potrebbero introdurre un aumento fino al 2 per mille, gli altri 465 non potrebbero andare oltre l'uno per mille (o frazioni di punto se oggi si applica, per esempio, un'aliquota del 3,5 per mille). Tradotto in cifre: chi oggi non paga nulla (per esempio a Venezia o a Brescia) si potrà veder chiedere quest'anno 10 0 euro se ha un reddito di 50mila euro, e 200 euro se ne denuncia 100mila. Chi abita in un comune che oggi chiede l'uno per mille potrebbe subire un rincaro del 200% nel fisco locale mentre, da Lodi a Como, da Pisa a Pordenone, oggi versa il due per mille rischia un raddoppio nel conto delle addizionali. Rincari più contenuti, invece, pendono sui conti di chi abita in un comune che si attesta oggi fra il 3 e il 4 per mille.
Il quadro finale, in realtà, potrebbe anche essere diverso: nei sessanta giorni che seguiranno l'entrata in vigore del decreto sul federalismo municipale, infatti, il ministero dell'Economia ha una finestra temporale per mettersi d'accordo con gli amministratori locali in conferenza Unificata e proporre un Dpcm per introdurre «una graduale cessazione, anche parziale» del congelamento al fisco locale introdotto nel 2008; se non ce la fa, scatta la griglia appena descritta.