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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 08:11.
DAVOS. C'è una riunione di emergenza dell'Opec per fronteggiare la crisi egiziana? La notizia corre nei corridoi del Congress center del World economic forum a Davos per poi essere smentita da una telefonata del presidente di turno del cartello petrolifero, l'iraniano Mohammad Ali Khatibi. Un iraniano nella parte del "pompiere" a Davos non si era ancora mai visto. Segno dei tempi in cui l'esplosione dei rischi geopolitici in Medio Oriente stanno rovinando l'atmosfera di cauto ottimismo nella crescita e fiducia in una tregua tra politici e banchieri nella riforma del sistema finanziario globale.
La crisi egiziana ha gettato tutti nello sconforto acutizzando il problema sul prezzo del petrolio, che corre attorno ai cento dollari al barile, e colpendo la fragile fiducia in una ripresa ancora troppo debole per poter sostenere uno shock esterno.
Petrolio e fiducia sono i due "ostaggi" del nuovo rischio geopolitico (non previsto ancora una volta da nessun analista) che sta rovinando l'atmosfera dell'ultimo giorno della conferenza annuale del gotha finanziario internazionale.
I superbanchieri internazionali schierati a Davos, si fermano nei corridoi, guardano le immagini della rivolta egiziana che la Cnn trasmette dagli schermi e poi, guardando le cifre del sisma, scuotono il capo: il costo per assicurare il debito sovrano egiziano è salito venerdì 14,86 punti base a 344,47, il più alto dal giugno 2009, secondo i prezzi Cma per i Credit default swap mentre alla Borsa di Chigago il grano è schizzato ai livelli più alti dal 2009 sull'onda di acquisti massicci provenienti dal Nord Africa. Speculazione? Può darsi, ma lunedì ci sarà nervosismo sui mercati.
Mustafa Nabli, da dieci giorni a capo della Banca centrale tunisina, da ex funzionario della Banca mondiale, chiede con compostezza, da una sessione speciale sulla Tunisia del Wef, di non tagliare il rating sul debito sovrano del suo paese. «Non colpite Tunisi in un momento delicato di transizione; la democrazia è un investimento su cui puntare», dice chiedendosi provocatoriamente dove fossero le agenzie negli ultimi 30 anni quando la corruzione dilagava nel paese sotto il deposto regime di Ben Ali. Chi sarà il prossimo paese? «Forse il Bahrein dove la maggioranza della popolazione è sciita?», chiede Raghida Dergham, columnist di Al Hayat, giornale basato a Londra, a Khalid Abdullah-Janah, presidente di Vision 3, società di investimento degli Emirati arabi uniti, nel corso della stessa sessione speciale. «No, lo escludo», ribatte Abdullah-Janah, puntando più sullo Yemen.