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Morti e feriti negli scontri al Cairo. Dopo Obama anche l'Ue chiede una transizione rapida

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 11:49.

Violenti scontri tra manifestanti anti-governativi e sostenitori del presidente Hosni Mubarak sono scoppiati nella centralissima piazza Tahrir, davanti al Museo Egizio, epicentro delle proteste popolari che da nove giorni scuotono l'Egitto. Secondo la televisione Al Jazeera in piazza ci sarebbero «morti e feriti». Alcuni dei sostenitori di Mubarak avrebbero caricato la fazione opposta in groppa a cavalli e cammelli, lasciando decine di persone a terra confuse e sanguinanti. Uno dei sostenitori di Mubarak sarebbe stato ucciso.

La polizia non ha reagito
La polizia non ha caricato i dimostranti, ma si è limitata a un fitto lancio di lacrimogeni per disperderli. Persino quando le pietre scagliate dalla folla hanno preso a rimbalzare sulla blindatura dei mezzi corazzati, i militari hanno evitato di reagire: si sono semplicemente disposti in modo da impedire l'accesso alla piazza ad altra gente. Successivamente i militari avrebbero sparato in aria colpi di avvertimento per disperdere i manifestanti, ma l'esercito ha negato di averlo fatto.

Ignorato l'appello dell'esercito
Manifestazioni pro-Mubarak in mattinata si erano susseguite in altri punti della capitale e ad Alessandria d'Egitto; ma soltanto una frazione contenuta dei dimostranti si è spinta fino a piazza Tahrir per sfidare gli avversari, che a loro volta avevano ignorato l'appello dell'esercito alla popolazione affinchè tornasse a casa. Nei giorni scorsi l'esercito si era impegnato a non aprire il fuoco sui dimostranti nè a ricorrere alla forza, dicendo di comprendere le legittime richieste del popolo.

L'opposizione: Mubarak lasci subito
La principale coalizione dell'opposizione, di cui fanno parte l'Associazione Nazionale per il Cambiamento di Mohamed ElBaradei e i Fratelli Musulmani, ha respinto l'appello dell'esercito, esortando la popolazione a restare in piazza e organizzando un'altra protesta per venerdì prossimo battezzata «giornata della partenza». L'organizzazione islamica ha precisato che le forze di opposizione sono pronte a trattare con il vice presidente Suleiman, ma soltanto dopo che Hosni Mubarak avrà rassegnato le dimissioni. Ieri il rais aveva annunciato di non volersi ripresentare alle prossime elezioni presidenziali di settembre e di voler gestire la transizione per emendare la Costituzione e facilitare la presentazione di altre candidature.

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Egitto, scontri tra dimostranti anti-governo e sostenitori Mubarak

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Dopo Obama anche l'Europa chiede una transizione rapida
Dopo gli Stati Uniti che ieri hanno esortato una transizione rapida, oggi è scesa in campo anche la Commissione europea che ha ribadito la volontà di rafforzare la sua assistenza all'Egitto e al suo popolo per favorire una «transizione politica pacifica e ordinata nel paese».

Rispettare la volontà del popolo
«Mubarak deve rispondere alla volontà del popolo, le proteste sono la manifestazione di questa volontà» - ha affermato il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton. Netta anche la posizione del primo ministro britannico, David Cameron: «La transizione deve essere rapida e credibile e deve cominciare ora».

Il Cairo respinge l'appello
Ma il Cairo ha rispedito al mittente la richiesta degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. «Ciò che sta chiedendo la comunità internazionale non può essere accolto» - ha risposto il ministero degli Esteri egiziano, spiegando che una transizione rapida renderebbe ancor più complessa la situazione interna al paese.

Il ritorno alla normalità passa attraverso la rete
Internet, nel frattempo, ha ripreso, parzialmente, a funzionare al Cairo dopo un'interruzione di almeno 5 giorni dovuta alle proteste di piazza.

La situazione nello Yemen
Intanto il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni, anche lui contestato da manifestazioni di piazza, annuncia di voler congelare una modifica costituzionale che gli avrebbe consentito di estendere il mandato oltre la scadenza del 2013. E promette che non cederà il potere a suo figlio. Alle opposizioni, che per domani hanno chiamato in piazza una giornata della collera, Saleh chiede di fermare la protesta, annunciando le sue decisioni nell'interesse del paese.

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