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Notizie Medio Oriente e Africa

Il Cairo è ancora una Sfinge. All'orizzonte non si vede una leadership e cresce lo spazio per gli estremisti

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2011 alle ore 09:27.

Lo scacchiere egiziano, ogni giorno che passa, si riempie di variabili e incognite. Da oltre 11 giorni in piazza Tahrir affluiscono migliaia di manifestanti che chiedono al presidente Mubarak di andarsene. Ma ciò che riempie di inquietudine le cancellerie occidentali è che questa contestazione non riesca a strutturarsi per far emergere una leadership in grado d'instaurare una dialettica politica con il governo che ancora si rifiuta di andarsene. Si sta assistendo a uno strano confronto, come nei giochi di scacchi in cui nessuno è in grado di anticipare la mossa dell'avversario.

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Un confronto che a lungo andare può essere pericoloso perché l'assenza di una leadership o una sua debolezza - da 48 ore El Baradei non si fa più sentire, il movimento Kifaya e i liberali non sembrano dominare la piazza - aumenta il rischio di un vuoto di potere e di una totale ingovernabilità, premesse per una guerra civile.

L'unico elemento che per ora sembra funzionare da cintura di sicurezza è l'esercito, che pare attendere lo svolgimento del dramma in atto. Ma dinanzi a questa specie di status quo, altre forze politiche - quelle che in realtà controllano di più il territorio - potranno nelle prossime settimane entrare in gioco e avere un ruolo determinante nello svolgimento del conflitto: si tratta dei Fratelli Musulmani, che sono entrati relativamente tardi come protagonisti nella contestazione di piazza. Questo scenario fa tremare Israele e le cancellerie occidentali ma, secondo alcuni analisti, gli Stati Uniti potrebbero ammettere l'entrata in gioco di quel movimento nella soluzione della crisi egiziana. Questa ipotesi si basa sul fatto che una parte dell'amministrazione americana pensa a un'evoluzione "alla turca" dei Fratelli Musulmani. Ma Boutros Ghali, ex ministro degli esteri egiziano, in un'intervista al canale televisivo France 24 ha sconsigliato agli americani ogni ingerenza nella situazione egiziana.

Dinanzi alla quasi latitanza dell'Europa, che non ha una visione della questione mediterranea, malgrado i tentativi promossi dall'Unione Europea sin dalla conferenza di Barcellona del 1995, nello scacchiere mondiale gli unici che sembrano avere una visione della questione sono gli Stati Uniti. In primo luogo perché l'Egitto è un alleato strategico nelle questioni mediorientali, e in secondo luogo perché gioca da interfaccia con l'Asia e l'Africa nel complesso sistema della globalizzazione. Perdere l'Egitto significherebbe, per la strategia americana, mancare di un ponte fondamentale.

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Tags Correlati: Africa | Asia | Ben Ali | Boutros Ghali | Europa | Hosni Mubarak | Kifaya | Politica

 

Quel che è certo è che si sta avviando il crepuscolo dell'era Mubarak. Suleyman è un alleato sia degli americani che degli israeliani, ma la piazza egiziana non scandisce il suo nome. E ora arrivano sulla piazza altri protagonisti che, se non sono leader carismatici, cercano di capire come essa potrebbe legittimare una leadership che è a tutt'oggi assente. Il presidente della Lega Araba, Amr Moussa, vi è andato; ma quella piazza ora vuole solo una cosa, la partenza definitiva di Hosni Mubarak, che ha affermato in un'intervista americana che vorrebbe andare via dal paese ma teme di lasciare posto al caos, cioè alla lotta tra fazioni, comportamento politico tipicamente arabo; sono le famose assabiyya (spirito di corpo, nel senso di gruppi di pressione)che spezzano l'unità del corpo politico mandandolo in frantumi e creando continue rivalità. Se a tutto ciò si aggiunge una guerra civile, c'è di che far tremare il mondo intero.

Come assicurare una transizione, dunque, senza provocare troppi danni? Né le cancellerie occidentali né gli Stati Uniti e nemmeno gli egiziani lo sanno. È probabile che i Fratelli Musulmani possano approfittare di questa situazione anomala: hanno quadri e dirigenti con una conoscenza perfetta del territorio, sia nel mondo rurale che nelle metropoli. Ma la società egiziana è mutata negli ultimi quindici anni: raramente si sono uditi nelle manifestazioni slogan che inneggiassero all'islam come soluzione ai problemi dell'Egitto. Inoltre gli egiziani hanno percepito il pericolo di un islam politico: le situazioni in Iran, Afghanistan, Algeria sono entrate nelle case attraverso i canali satellitari. Sono scenari che gli egiziani rifiutano, ma non per questo l'enigma della transizione democratica è risolto.

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