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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 15:33.
Violazione della corretta procedura parlamentare accompagnata da uno strappo istituzionale nei confronti del colle. A Giorgio Napolitano sono bastate poche ore per giudicare nulla la decisione del Governo che ieri sera fa ha approvato in gran fretta il decreto legislativo sul federalismo municipale. La necessità di dare un segnale immediato alla Lega, dopo la bocciatura del decreto legislativo da parte della commissione bicamerale sul federalismo fiscale, ha indotto il governo a ignorare l'obbligo di comunicare preventivamente al Parlamento e alla Conferenza unificata i motivi che lo hanno spinto ad approvare comunque un provvedimento peraltro diverso da quello originario.
IL PUNTO / Nonostante le difficoltà Berlusconi e Bossi vanno avanti (di Stefano Folli)
Lettera di Napolitano a Berlusconi: il decreto sul federalismo è irricevibile (di Claudio Tucci)
Dall'Imu alla tassa di soggiorno, l'abc del decreto che ridisegnerebbe il fisco comunale (di Nicoletta Cottone e Claudio Tucci)
Profonda irritazione del Capo dello Stato
La decisione di Napolitano ha un notevole rilievo, poichè non si ricordano precedenti di un decreto legislativo dichiarato irricevibile. Ma non è tutto qui. Non è ipotizzabile – afferma Napolitano – che non vi sia il pieno coinvolgimento del Parlamento, delle regioni e degli enti locali nel complesso processo di attuazione del federalismo fiscale. Nel finale della lettera inviata al presidente del Consiglio e trasmessa ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani è racchiusa la profonda irritazione del presidente: il Consiglio dei ministri è stato convocato senza un ordine del giorno. Napolitano non è stato informato, né consultato sull'intenzione del governo di approvare il decreto in via definitiva. Parole che pesano come pietre.
Non è stato perfezionato il procedimento per l'esercizio della delega
La decisione è stata di esporre i rilievi critici ancor prima che il testo venisse formalmente trasmesso alla firma del Capo dello Stato per l'emanazione. Nel merito, il vulnus è nella decisione del governo di non perfezionare il procedimento per l'esercizio della delega. Il riferimento è ai commi 3 e 4 dell'articolo 2 della stessa legge delega (n. 42 del 2009) in cui è previsto espressamente l'obbligo di «rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari». Testo irricevibile, «a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza».