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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 07:38.
I 315 voti della Camera che ieri sera hanno detto «no» alle richieste della procura milanese dimostrano che la maggioranza berlusconiana resta compatta. E resta compatta su un terreno molto insidioso, ricco di risvolti politici e anche etici. Sono gli stessi voti (uno di più) che il 14 dicembre respinsero le mozioni di sfiducia.
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In teoria ne manca sempre uno per raggiungere la maggioranza assoluta di 316, ma il presidente del Consiglio ieri era assente. È vero peraltro che le opposizioni sono rimaste al di sotto della loro soglia massima e questo non depone a favore della loro capacità di mobilitazione. Come dire che, da un lato, la navigazione parlamentare del centrodestra resta difficile: le incognite verranno soprattutto nei giorni «tranquilli», quelli in cui cala la concentrazione e si disperdono le forze. Dall'altro lato, però, l'opposizione ha mostrato una volta di più la sua debolezza. Per cui si capisce la gioia del Pdl: non si è verificata alcuna defezione e Berlusconi ha mantenuto il pieno controllo dei suoi. Nella sintesi del premier, è stato respinto «l'attacco dei pm».
Quei 315 voti equivalgono ad altrettanti argomenti che giustificano la decisione di Umberto Bossi di restare accanto al suo alleato e amico Berlusconi. Non è una sorpresa, visto che per settimane e mesi tutti gli sforzi del Pd e del «terzo polo» volti a staccarlo da quell'abbraccio sono falliti. Ma nelle ultime ore il capo della Lega aveva oscillato, timoroso di veder naufragare in Parlamento il suo federalismo fiscale. E in effetti il pareggio (15 a 15) nella commissione bicamerale, pur non bloccando l'iter del progetto, aveva il sapore di una sconfitta politica. Così almeno l'hanno subito interpretato le opposizioni e – strano ma vero, considerando la veste istituzionale – anche il presidente della Camera.
In realtà Bossi aveva soprattutto bisogno di sentirsi rassicurato da Berlusconi, nonché di verificare i numeri della maggioranza. È stato accontentato. I voti, come abbiamo visto, ci sono. Quel che più conta ai suoi occhi, il Consiglio dei ministri, riunito in tutta fretta, ha approvato il decreto legislativo del federalismo municipale (destinato a essere controfirmato dal Quirinale). Lo ha approvato con tutte le varianti e gli emendamenti passati in commissione Bilancio e non recepiti dalla bicamerale.