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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:26.
L'ultima modifica è del 13 febbraio 2011 alle ore 13:59.

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Capita talvolta che fenomeni apparentemente marginali diventino parte dello Zeitgeist, lo spirito del tempo. Nel mondo della comunicazione digitale, per esempio, l'iPad e l'iPhone stanno diventando gli strumenti d'elezione della cosiddetta «lettura differita», l'interstitial reading. Grazie ad alcune applicazioni diventate rapidamente popolari come Read-It-Later, gli utenti s'appuntano via via quanto avrebbero voluto leggere sulla Rete senza poterlo fare nelle ore d'ufficio.

Lo fanno più tardi, scorrendo la propria personalissima rassegna stampa mentre tornano a casa con i mezzi pubblici e nel dopocena, oppure mentre vanno in ufficio la mattina dopo: i picchi di lettura digitale sono infatti fra le 19 e le 23 e tra le 7 e le 8 la mattina successiva. L'iPad e l'iPhone stanno dunque creando abitudini nuove, e l'opportunità costituita dall'interstitial reading è certamente tra quelle che Rupert Murdoch ha cercato di cogliere con il suo nuovo quotidiano per iPad, The Daily.

Molto sofisticato nella grafica, nelle funzionalità, nei video, nelle foto, più simile a un settimanale come il vecchio Espresso o a un giornale popolare: più Usa Today che New York Times, The Daily è già uno degli argomenti forti nel dibattito sul futuro dell'industria dell'informazione. Che Luca De Biase sul Sole 24 Ore del 4 febbraio sintetizza così: «La riuscita di The Daily avrebbe un grande significato: un atteggiamento imprenditoriale coraggioso può ancora pagare nell'editoria del nuovo millennio». Posso testimoniare che, se non avessero avuto coraggio, gli editori avrebbero da tempo cambiato mestiere, impegnandosi in qualche attività più remunerativa. Ma hanno tenuto duro, ristrutturando e investendo in innovazione.

Due esempi: proprio Il Sole 24 Ore ha proposto un'edizione sperimentale per iPad del suo supplemento Nòva, con idee molto interessanti. Il Gruppo Espresso ha lanciato recentemente il settimanale digitale R7, che reimpagina e arricchisce con contributi multimediali il meglio del giornalismo del suo quotidiano di punta, Repubblica.

Dunque, gli editori sapevano fin dal 2008 che la crisi che stava mettendo in ginocchio i giornali americani sarebbe arrivata anche qui. E così è stato. I numeri parlano chiaro: nei primi nove mesi del 2010 il margine operativo netto degli otto gruppi editoriali italiani quotati in Borsa è crollato del 58% e il taglio occupazionale è stato del 15 per cento. L'anno s'è tuttavia chiuso con la sensazione che il picco della crisi fosse alle spalle, nonostante la persistente abulia del mercato pubblicitario italiano (tv esclusa, per le note ragioni).

È la fiducia nelle nuove piattaforme di distribuzione a dare vigore a chi, come gli editori, s'ostina a credere che fare buona informazione sia un dovere civile e, insieme, un'opportunità di business. Vediamo perché. Uno studio di Gartner Group ci propone questi dati: il mercato mondiale dei tablet crescerà del 150% nel 2011 e del 100% nel 2012. Il risultato sarà la creazione nel 2013 di un'“audience mobile” di 150 milioni di utenti, "geneticamente" interessata all'informazione giornalistica. In Italia l'evoluzione potrebbe addirittura essere più rapida che altrove.

Si calcola che alla fine di quest'anno gli iPad attivi sul nostro territorio saranno oltre 800mila. A cui si sommeranno i tablet di altri produttori. C'è chi calcola in un milione e 600mila i tablet venduti entro il 2012 in Italia e in due milioni e 400mila nel 2013. Più dei cellulari di prima generazione, gli Etacs, distribuiti tra il '90 e il '93.

Non mancano, beninteso, le incognite. L'utente tipo dell'iPad non è un ventenne e forse nemmeno un trentenne: a quelle età i soldi in tasca sono pochi e i momenti liberi spingono a svaghi più che a letture rinviate alla serata. Il primo nodo da sciogliere è quindi il prezzo degli strumenti, troppo elevato per i nativi digitali. Tablet a cifre accessibili sono per fortuna attesi sugli scaffali entro pochi mesi.

Un secondo nodo è costituito da costi non comprimibili per gli editori, che potrebbero innovare di più se fossero loro garantite risorse eque. Le tassazioni dei prodotti digitali, compresi quelli giornalistici, sono sproporzionate in tutta Europa (variano dal 19 al 25%, in Italia siamo al 20); le politiche commerciali dei fornitori di hardware e servizi sono penalizzanti per i fornitori di contenuti, tanto che in alcuni paesi si stanno studiando procedimenti antitrust per impedire che Apple attui il proposito, già annunciato, di bloccare forme di pagamento delle applicazioni e dei servizi alternative alla propria, iTunes. Una volta trovate le soluzioni, il mercato dell'informazione digitale da fruire in mobilità crescerà rapidamente. Ci sono settori ampi di utenza da conquistare, come dimostra la recente ricerca del Laboratorio sulla Comunicazione avanzata dell'Università di Urbino: la Rete è ancora poco usata dagli italiani per informarsi, con un tasso di copertura del 51,1% contro il 90,8% delle reti tv nazionali e il 63% dei giornali.

Resta aperta la questione cruciale, che si ripresenta puntualmente a prescindere dalle tecnologie di distribuzione dell'informazione: quale giornalismo per le piattaforme mobili? Prendiamo The Daily: per farsi un'idea del suo “peso informativo” si può utilizzare il sito non autorizzato “The Daily: Indexed”, che offre il sommario degli argomenti del giorno e consente, in parte, di leggerli o guardarli gratis. Si scopre così che i temi trattati nelle 24 ore da The Daily sono in media 54, quando i titoli di rilievo in un quotidiano cartaceo italiano d'informazione sono non meno di 140. Moltissimi sono però i contributi multimediali del quotidiano digitale, con grafici interattivi, video, audio. Considerando anche la frequenza degli aggiornamenti, la risposta è positiva: The Daily e i suoi futuri epigoni possono essere esaurienti fonti primarie d'informazione se si tutela la qualità del giornalismo (che è affare troppo delicato per lasciarlo nelle mani dei tecnologi). Rupert Murdoch ha fatto incetta di grandi firme per il suo The Daily, dichiarando pubblicamente di voler rilanciare «il giornalismo che si fa consumando le suole delle scarpe».

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