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Gli Usa vogliono basi permanenti in Afghanistan

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2011 alle ore 16:31.

La notizia che gli Washington sta negoziando con Kabul la presenza di basi militari permanenti sul territorio afghano ha inasprito le tensioni con i gruppi di insorti che proprio negli ultimi giorni hanno scatenato spettacolari attacchi a Kabul e Kandahar.

Non sono chiari i motivi per i quali il presidente Hamid Karzai, abbia reso noto il 9 febbraio l'esistenza di negoziati con gli statunitensi per la cessione di basi militari permanenti dopo il ritiro del grosso delle truppe alleate, pianificato per il 2015, ma certo la diffusione di questa notizia non aiuterà il programma di riconciliazione nazionale varato dallo stesso Karzai per raggiungere un'intesa con gli insorti. Indiscrezioni provenienti da ambienti militari alleati riferiscono che Washington vorrebbe mantenere una presenza militare fissa a Bagram,Kandahare Shindand.

Si tratta di tre grandi basi aeree costruite dai sovietici e poi ammodernate negli ultimi dieci anni dagli statunitensi e dalla Nato investendo miliardi di dollari. Oggi sono vere e proprie città in grado di ospitare decine di migliaia di soldati con mezzi, velivoli ed equipaggiamenti. L'importanza strategica di queste basi, anche se la guerra afghana dovesse concludersi, appare evidente. Gli statunitensi potrebbero operare da qui in tutta l'Asia Centrale controllando il confine occidentale cinese e quello orientale iraniano (specie dalla base di Shindand), garantendosi una forte presenza in un'area che verrà attraversato da importanti oleodotti e gasdotti.

In un comunicato inviato all'agenzia afghana Afghani Islamic Press, i talebani hanno spiegato che gli Usa "hanno già collocato gente fidata nel Parlamento afghano e non c'è nessuna differenza tra le basi militari permanenti e l'occupazione". Per questo motivo, dicono i talebani, "continueremo con la nostra legittima azione di resistenza e con la guerra santa fino alla completa indipendenza dell'Afghanistan e all'istituzione di un sistema islamico". Anche un altro grande movimento d'opposizione armata, l'Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar, che pur sembrava disponibile al negoziato con Kabul, ha dichiarato l'11 febbraio che non accetterà ''mai basi permanenti americane sul suolo nazionale''.

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Tags Correlati: Afghani Islamic Press | Asia Centrale | David Petraeus | Hamid Karzai | Marja | Nato | Pietro Antonio Colazzo | Safi Landmark | Stati Uniti d'America |

 

Il comandante delle forze alleate, il generale David Petraeus, non sembra fare molto affidamento sulla riconciliazione nazionale in Afghanistan e ha dichiarato di aspettarsi una "primavera di fuoco" nonostante le "pesanti perdite inflitte ai talebani"
"I talebani cercheranno di tornare nelle zone che hanno perso e i combattimenti si faranno più violenti", ha detto il generale anche se, citando la cessione alle forze afghane di alcune province a partire da marzo, ha confermato la possibilità di ridurre le truppe alleate nel Paese già dal prossimo luglio.

Avvieremo un ''ritiro responsabile'' delle forze alleate ha dichiarato Petraeus in una intervista al Financial Times, nella quale ha anticipato che la pressione sui talebani aumenterà e di conseguenza vi saranno più violenze.

Le forze di sicurezza afghane raggiungeranno i 304.500 effettivi (tra esercito e polizia) "alla fine di ottobre 2011'' ha concluso Petraeus aggiungendo che ''a mano a mano che ci avvicineremo a luglio prospetterò al presidente Obama una strategia di ripiegamento che comincerà dai 30.000 soldati supplementari inviati per il surge contro i talebani''.
Dall'inizio dell'anno gli alleati hanno registrato 44 caduti con una tendenza che sembra indicare un discreto calo rispetto ai 139 del primo trimestre dell'anno scorso quando però in febbraio venne scatenata l'offensiva contro la roccaforte talebana di Marja
anella provincia di Helmand.

Al moderato ottimismo di Petraeus gli insorti hanno risposto con violenti attacchi kamikaze. Oggi nella capitale un commando formato da due attentatori suicidi ha attaccato uno shopping center e l'hotel a quattro stelle Safi Landmark, causando un'esplosione e uno scontro a fuoco che ha avuto un bilancio di quattro morti, tre guardie della sicurezza e un kamikaze, e almeno due feriti.
Il 26 gennaio 2010, lo stesso edificio era stato gravemente danneggiato in una spettacolare azione dei talebani che attaccarono vari obiettivi della zona, uccidendo 16 persone, fra cui l'agente dell'intelligence italiana Pietro Antonio Colazzo che alloggiava in una guest house vicina.
Il 12 febbraio cinque kamikaze hanno attaccato il quartier generale della polizia a Kandahar, città "liberata" dalla presenza talebana nei mesi scorsi dopo una lunga offensiva alleata. Lo scontro con le forze della Nato e afghane è durato alcune ore causando almeno 23 morti, quasi tutti agenti, ed una cinquantina di feriti, molti dei quali civili

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