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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 12:30.
Social network e blog hanno contribuito alle proteste in Medio Oriente. Ma i regimi autoritari non hanno perso tempo a trovare contromisure, anche drastiche: in Egitto l'accesso al web è stato bloccato. E un giro di vite della censura online è in corso in altre nazioni. Hillary Clinton, segretario di Stato degli Usa, ha presentato (nel corso di una webcast seguita da una webchat) una policy che aiuti a superare le restrizioni alla liberà di espressione su internet: secondo il New York Times, evidenzierà anche che i social network sono stati utilizzati contemporaneamente da dissidenti e governi nazionali. Appena un anno fa il focus dell'attenzione era sulla Cina e sulle restrizioni imposte a Google nella ricerca di parole chiave sensibili.
Negli ultimi mesi il Dipartimento di Stato ha valutato progetti per aiutare chi vuole superare filtri sempre più sofisticati nella nazioni governate da regimi autoritari: software per aggirare i muri virtuali che impediscono l'accesso alle informazioni, lezioni per insegnare come inviare email in modo sicuro, server proxy per evitare di vedere monitorate o bloccate le connessioni a siti web. Inoltre di recente il dipartimento di Stato ha inviato messaggi su twitter in arabo e presto inizierà a inviarli anche in lingua farsi per comunicare con il pubblico online in Iran. Ma sono passi valutati con cautela a seconda dei contesti, come sottolinea il New York Times.
Facebook (segui anche qui webcast e, a seguire, webchat) è al centro del dibattito. Una settimana fa il senatore democratico Richard Durbin ha inviato una lettera a Mark Zuckerberg, il 26enne fondatore del social network, per chiedere un maggiore impegno nella tutela della libertà di espressione dei suoi utenti. E ha rinnovato l'invito a entrare nella Global Network Initiative, un'organizzazione non profit che riunisce aziende impegnate nella difesa dei diritti umani: finora ha raccolto l'adesione di Google, Yahoo, Microsoft e di associazioni come la Electronic Frontier Foundation. Facebook è stato il social network più frequentato durante le proteste in Medio Oriente: ha due milioni di iscritti in Tunisia e cinque milioni in Egitto. In passato ha sostenuto in modo attivo le manifestazioni in Colombia promosse attraverso i suoi gruppi online. Ma teme la censura in nazioni dove sta allargando la sua base di utenti, come la Siria.