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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2011 alle ore 07:56.
Abuso sì. Ma di qualità. Non della funzione di presidente del Consiglio. Ne è persuasa Cristina Di Censo, giudice per le indagini preliminari di Milano che ha fatto interamente propria l'interpretazione della procura di Milano sugli avvenimenti della notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. La stessa tormentata notte che ha portato la pubblica accusa a formulare, a carico del premier, l'accusa di concussione.
Sulle questioni di giurisdizione del caso Ruby decide la Cassazione (e non la Consulta)
I legali del premier puntano sul conflitto di attribuzioni
Scrive il gip milanese nel decreto che dispone il rinvio a giudizio con rito immediato del cavaliere: «Sicuramente con abuso della qualità di presidente del Consiglio, ma altrettanto certamente, al di fuori di qualsiasi prerogativa istituzionale e funzionale propria del presidente del consiglio dei ministri e che non dispone di poteri di intervento gerarchico nei confronti delle autorità della polizia di Stato».
Nel decreto il Gip definisce poi «apertamente contraddetta dalla logica degli accadimenti», la ricostruzione della difesa secondo la quale Berlusconi avrebbe agito per salvaguardare le relazioni internazionali con l'Egitto. La presentazione Karima El Mahroug come «nipote di Mubarak», infatti, secondo il giudice non è credibile.
«Non risulta – scrive Di Censo – da parte della Presidenza del Consiglio (...) l'attivazione di alcun, pur agevole, contatto con le autorità di quello stato (l'Egitto; ndr) per la verifica della nazionalità e dell'identità effettiva di Ruby». Nel frattempo spuntano sempre nuovi particolari circa gli interrogatori di Ruby. Il 3 agosto 2010, per esempio, ai magistrati di Milano, Karima El Mahroug rivela qualcosa che cambierà il corso delle indagini: «Berlusconi – racconta – mi consegnò una busta con 50mila euro». Aggiunge anche che il premier sapeva che la ragazza era minorenne e che le consigliò: «Dirai a tutti di essere la nipote di Mubarak». Questi interrogatori sarebbero tra le oltre 40 fonti di prova indicate nelle 27 pagine del decreto di rinvio a giudizio.
Ma i pm Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano non hanno trovato riscontro a tutte le dichiarazioni della ragazza e sono pertanto cauti nella loro valutazione. Ieri il decreto di rinvio a giudizio è stato notificato ai legali del premier e alle parti offese nel procedimento, tra le quali il ministero dell'Interno, ma non ancora a Ruby. La prossima settimana, invece, si chiuderanno le indagini sull'altro filone d'inchiesta: quello che vede Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora indagati di induzione e favoreggiamento della prostituzione e di prostituzione minorile. Lunedì i pm metteranno a punto la richiesta di rinvio a giudizio con rito ordinario e potrebbero decidere di stralciare la posizione di altri tre indagati che avrebbero avuto un ruolo minore nella vicenda. Nel frattempo Nicole Minetti, ex show girl e oggi consigliere regionale lombarda del Pdl, ha fornito la sua versione dei fatti in un'intervista alla tv statunitense Cnn. «Non ho mai procurato ragazze al presidente del Consiglio», si è difesa.