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L'ultima guerra di Libia e noi

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 08:46.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2011 alle ore 08:00.

E così il cerchio si chiude, comprendendo in sé i sanguinosi eventi in corso a Tripoli e nelle altre città; le prospettive e le incognite di un dopo-Gheddafi che di fatto è cominciato; la difficoltà dell'Italia di affrontare la sfida con un sufficiente grado di coesione politica; da ultimo il ruolo che l'Europa intende assegnare a se stessa, nelle ore in cui la Francia chiede la riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e alcuni giornali parlano di un possibile intervento militare americano.

Maroni chiede aiuti, l'Europa divisa (di Adriana Cerretelli)

Ieri sera, mentre i ministri dell'Interno dell'Unione erano riuniti a Bruxelles, il presidente della Repubblica ha chiesto con parole ferme che l'Europa si assuma le proprie responsabilità e dimostri di esistere, affrontando in forma solidale e decisa il tema dell'ondata migratoria che potrebbe muoversi nei prossimi giorni dalle coste libiche. Coste che, come ha annunciato Maroni – ma era facile immaginarlo –, non sono più sottoposte ad alcun tipo di controllo.
Napolitano parla il linguaggio che ci si attende da un paese autorevole, che vuole contare ed essere ascoltato nel consesso europeo. È vero che il capo dello Stato, nel nostro ordinamento costituzionale, non dispone di poteri esecutivi, ma evidentemente non è questo il punto. Il vertice istituzionale dello Stato gode ancora di un prestigio sul piano internazionale che può e deve essere speso quando serve. E oggi senza dubbio serve. Anche perché le forze politiche di maggioranza e di opposizione non sembrano in grado di avvertire fino in fondo la gravità della situazione.

Non si tratta di «perdonare» a Berlusconi i suoi atteggiamenti compiacenti verso Gheddafi (il famoso baciamano, ad esempio) e nemmeno i ritardi con cui il governo italiano si è accorto di quello che accadeva a Tripoli e Bengasi. Si tratta semmai di guardare avanti e di sentirsi parte di una stessa nazione. Senza giocare con i risvolti di una crisi gravissima nel cuore del Mediterraneo al solo scopo di ricavarne piccoli vantaggi elettorali. Tanto più che la politica verso la Libia di Gheddafi è il prodotto di scelte trasversali che si sono sovrapposte e accumulate negli anni, senza sostanziali differenze rispetto al colore dei governi.

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Tags Correlati: Consiglio di sicurezza | Gheddafi | Giorgio Napolitano | Italia | Onu | Politica | Tripoli

 

Ora è il momento di voltare pagina. Nei prossimi giorni il presidente del Consiglio non potrà dedicare la maggior parte del suo tempo alle strategie processuali che lo riguardano. Dovrà dimostrare con i fatti che la sua priorità politica è la gestione dell'emergenza, che non può essere delegata ai soli Maroni e La Russa. E il centrosinistra all'opposizione avrà il dovere di mostrare la sua cultura di governo: il che significa accantonare le ossessioni anti-berlusconiane in favore di una logica nazionale.

Ad esempio. È evidente che la credibilità dell'Italia in Europa è stata in parte compromessa, ma proprio per questo non si può accentuarla con sterili polemiche. Si deve invece agire per recuperare in fretta rispetto e attenzione presso i partner dell'Unione. Proprio nel senso indicato da Giorgio Napolitano. Una frattura fra Italia ed Europa sarebbe la sconfitta di tutti.

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