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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 19:26.
BENGASI / I volti sono tesi, contratti. Le strade meno affollate. Anche le raffiche sparate in aria per festeggiare, un suono familiare che scandiva il tempo della città, sono sporadiche. Quasi fossero un lontano lamento. È mezzogiorno; i cittadini di Bengasi sono disorientati. Come se non sapessero cosa fare, a chi credere, cosa credere. Qualcuno cerca di simulare un atteggiamento sprezzante. Eppure nel suo sguardo si legge lo smarrimento di chi teme che il sogno della Libia Libera possa già tramontare.
Increduli, si chiedono; come è potuto cambiare tutto così rapidamente? Alcuni, ostinati volontari quasi non vogliono credere alle notizie che giungono dal fronte. Da quella linea del fuoco che arretra giorno dopo giorno. Anche davanti alle immagini della Tv di Stato libica, fedele al regime, che restituiscono sullo schermo la debacle della loro anarchica armata, un anziano inveisce contro Gehddafi «È solo propaganda, riprenderemo subito Ras Lanuf». Ma non è così.
Senza alzare le dita a V in segno di vittoria, senza salutarti con il caloroso "Welcome", in molti guardano con rassegnazione i giornalisti che partono, gli alberghi che si svuotano. Il circo mediatico ripiega a Tobrouk, 650 chilometri più a ovest, sole due ore dalla frontiera con l'Egitto. All'Houzu Hotel, il grande albergo dove sono alloggiati i media stranieri, i saloni sono deserti. Sono andati via quasi tutti: lo staff della BBc, seguita poi dalle Tv francesi 2 e 3. Via gli americani, i tedeschi. Via i canadesi, i polacchi, colombiani e parecchi francesi. Da poco è partito anche lo staff della Reuters. Un brutto segnale.
E' cambiato tutto nell'arco di 36 ore. Prima è capitolata Ras Lanuf. questa mattina anche Brega. Ora Bengasi, la capitale della Cirenaica da cui è partita la rivolta popolare trasformatasi in guerra, si prepara all'assedio. Come fare senza i due grandi centri petroliferi? Dove rimpiazzare il gas che arriva da Brega? E l'elettricità?
In questi continui capovolgimenti di fronte può accadere di tutto. Ma questo sembra essere il momento di Gheddafi. Le sue milizie, tuttavia, sono ancora lontane. Anche se riuscissero a conquistare Ajdabia, sarebbero sempre a 160 Km dalla capitale della Cirenaica, difesa da più di mille batterie di contraerea, chilometri.
E pensare che qui, in questa piazza su cui si affacciano i fatiscenti edifici coloniali italiani, 16 giorni fa diecimila persone celebravano l'inarrestabile avanzata degli insorti. Anche i più cauti erano convinti che la caduta del Rais, al potere in Libia da 42 anni, fosse questione di giorni, se non di ore. "Tripoli", urlavano, «andiamo avanti a Tripoli, Tripoli stiamo arrivando». Ora la Tv di stato Libica che restituisce la voce del figlio del rais , Saif Islam : «Bengasi stiamo arrivando».
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