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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 14:32.

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Giappone. Reportage: «Cuociamo il ramen, la vita continua»Giappone. Reportage: «Cuociamo il ramen, la vita continua»

A l confine tra le province di Ibaraki e Fukushima, sulla strada tra le città di Mito e Iwaki - una lambita, l'altra devastata dal terremoto di venerdì pomeriggio - una modesta trattoria di ramen (i taglioni in brodo) ha l'aria appestata da un tanfo di rancido, al quale i pochi avventori sono del tutto indifferenti. Enormi pentoloni bollono dietro al bancone. «È venuta a mancare l'acqua. Così ci siamo ricordati di un vecchio pozzo nelle vicinanze: l'abbiamo cavata da lì, in modo da poter rimanere aperti. La vita continua», dice il signor Watanabe, uno dei quattro addetti al servizio. La località è a poco più di una cinquantina di chilometri dal distretto che ospita i due impianti nucleari della Tokyo Electric Power, con i cinque reattori malfunzionanti che tengono il mondo intero con il fiato sospeso.

La vita continua: quelli che mangiano il ramen con il consueto risucchio rumoroso danno solo un'occhiata distratta alle immagini di devastazione che arrivano dallo schermo tv, come se non li riguardasse. Si ha la sensazione che il dolore e il panico siano confinati nelle aree più devastate.

La differenza rispetto a un sabato normale sta in un gigantesco ingorgo stradale, da far impallidire quelli che si verificano nella "Golden Week" vacanziera di inizio maggio. Chiuse tutte le autostrade per il nordest del paese e gli aeroporti regionali. Fermi gli shinkansen, i treni superveloci sulla linea che il mese scorso è stata allungata fino ad Aomori, all'estremo nord. Singhiozzanti i treni locali, che si fermano a Tomobe, a meno di 100 km dalla capitale. Da lì in poi, si vedono squadre di operai e macchinari all'opera sui binari, a ritmo frenetico, alla luce delle fotoelettriche. «Lavoriamo ininterrottamente dall'alba - dice il caposquadra Shinji Watanabe - abbiamo l'ordine di ripristinare questo tratto di linea entro domani a mezzogiorno».

Sembra incredibile, ma la congestione sulla statale, per i primi 80 km, appare più pesante nella corsia in direzione nord, ossia verso l'area del pericolo: si tratta in buona parte dei traffici locali - per niente turbati - delle cittadine che si susseguono senza soluzione di continuità. Solo più avanti diventa più fitto l'incolonnamento in direzione di Tokyo, con molte vetture targate provincia di Fukushima. Alcune provengono dalla zona di evacuazione, che in meno di una ventina di ore, come in un crescendo rossiniano, è stata stabilita dalle autorità prima in 2, poi in 3, in seguito in dieci e infine in venti chilometri di raggio dalle centrali atomiche. Il totale degli sfollati per il rischio di radiazioni è arrivato così a circa 80mila, su un totale stimato in 300mila: il resto deve la sua sventura non alla vicinanza ai generatori di energia nucleare ma alla perdita o all'inagibilità delle proprie case.

Acqua ed elettricità, più si va a nord e più diventano rare. È dalla provincia di Ibaraki che si manifestano più concretamente le ferite del sisma. Il personale degli alberghi è calmo e cortese nell'accogliere i clienti anzitutto facendo firmare loro una liberatoria: niente lamentele se manca l'acqua, se non c'è cibo né riscaldamento, e soprattutto niente reclami o pretese risarcitorie in caso di danni o ferimenti.

Chi si ferma difficilmente riesce a dormire: dalla sera fino al mattino, si susseguono scosse più o meno intense. La terra non ha smesso ancora di tremare, ma per chi può permettersi un tetto le apprensioni, dopo l'esplosione del pomeriggio alla centrale, sono più rivolte al pericolo che non si vede e non si sente. Oppure alle preoccupazioni di approvvigionamento, che già in mattinata, nella stessa Tokyo, hanno provocato fenomeni di accaparramento: in vari kombini - gli onnipresenti negozietti aperti 24 ore su 24 - l'acqua è sparita presto e così quasi tutte le cibarie. Questo anche se in giro c'era meno gente del solito, in una metropoli caratterizzata da un fenomeno mai visto: la quasi totale assenza di taxi, dopo il superlavoro dei tassisti protrattosi fino a tarda notte (oltre 100mila persone non sono riuscite comunque a tornare alle loro case). Un ritmo sommesso determinato anche dalla sospensione di alcune attività in programma, come gli esami di ammissione all'università che mai come quest'anno sono nell'occhio del ciclone per lo scandalo delle "copiature" in tempo reale via telefonini e Web.

«Intanto faccio scorta di un po' di tutto, non si sa mai», dice Hiromi Yokota, 25 anni, mamma di una bimba di quattro. «Sto però pensando di trasferirmi dai miei genitori a Tottori, al l'ovest: queste rassicurazioni del governo sul pericolo delle radiazioni non mi convincono. Già in passato, in incidenti simili, mi hanno detto che le autorità e soprattutto il gestore delle centrali, la Tepco hanno tardato a rivelare la gravità della situazione».

Una reticenza di comunicazione sospettata da molti, che viene alla luce indirettamente grazie a una gaffe in diretta della rete pubblica Nhk. È uno strano episodio del suo telegiornale: un conduttore rivela quanto già circola sulla rete e sui social network - il ferimento di alcuni addetti alla centrale nucleare - e un collega senior lo interrompe dicendo che è una cosa che non va detta perché non è ancora ufficiale. Fosse solo quello: con la successiva notizia dei primi ricoveri in ospedale per presunte radiazioni e le raccomandazioni governative a non bere acqua del rubinetto in un'ampia "zona di rispetto", quello che sembra remoto comincia a manifestarsi in esempi concreti. La sera cala su un paese dove il numero delle persone che iniziano a dubitare di tutto, a questo punto, non può che aumentare in modo esponenziale.

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