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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 08:50.
Dopo la risoluzione delle Nazioni Unite che autorizza «tutte le misure necessarie» per proteggere la popolazione libica e in particolare i ribelli di Bengasi dalle forze leali al colonnello Muhammar Gheddafi, ieri notte si è tenuta una riunione informale del governo italiano, cui ha partecipato anche il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano si è infatti unito al vertice informale convocato dal premier, Silvio Berlusconi, con il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ed è stato informato degli ultimi eventi relativi alla Libia dal premier. L'incontro, riferiscono fonti governative, è stato informale e si è tenuto in una sala del teatro dell'opera al termine della rappresentazione del Nabucco per i 150 anni dell'unità d'Italia. Oggi invece, alle 12, è prevista una riunione a Palazzo Chigi con i vertici della difesa e dei servizi segreti, oltre ovviamente al premier e ai ministri competenti.
Che la comunità internazionale sarebbe prima o poi arrivata a prendere una forte decisione, per ora appunto soltanto una decisione formale, di intervenire in Libia lo si era capito quando gli Stati Uniti a più riprese, prima per bocca del segretario di stato, Hillary Clinton, poi con la voce dello stesso presidente Barack Obama, avevano definitivamente delegittimato il colonnello Muhammar Gheddafi: un leader che ordina raid contro il proprio popolo non può essere accolto e riconosciuto dalla comunità internazionale. Ancora più forti sono state le pressioni francesi perché si intervenisse anche militarmente in sostegno dei ribelli di Bengasi. Così stanotte l'Onu ha approvato la risoluzione che autorizza ogni tipo di misura per difendere la popolazione libica dalle forze leali al colonnello Muhammar Gheddafi.
Ma il fronte internazionale, nonostante la risoluzione dell'Onu, non è certo compatto. Infatti la Cina ha subito ribadito di avere comunque molte e forti riserve sul contenuto della decisione. «Noi ci opponiamo all'uso della forza nelle relazioni internazionali e abbiamo serie riserve su alcune parti della risoluzione», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Jiang Yu, riferendosi alla risoluzione Onu che ha autorizzato una no fly zone sulla Libia. «Considerando la preoccupazione e le motivazioni di alcuni paesi arabi e dell'Unione Africana - ha scritto la Jiang - e considerando la situazione speciale in Libia, la Cina e alcuni paesi si sono astenuti dal votare la bozza della risoluzione». Anche la Germania è su una posizione defilata. «Non spedirò nessun soldato tedesco in Libia». È la linea, netta, del ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, che in un'intervista alla Stampa spiega le ragioni del no di Berlino a un intervento militare in Libia e insiste sull'alternativa di sanzioni economiche e finanziarie.
Decisamente interventista è ancora una volta la Francia. Le operazioni militari sulla Libia per fermare le forze di Muammar Gheddafi avverranno in tempi rapidi, «questione di ore», e le Francia vi parteciperà. Lo ha detto il portavoce del governo francese, Francois Baroin. La stessa fonte ha sottolineato che «l'intervento militare non sarà un'occupazione del territorio libico, ma un dispositivo di natura militare per proteggere la popolazione libica e aiutarla a realizzare la sua aspirazione di libertà». Anche la Norvegia ha subito fatto sapere di essere pronta a partecipare all'intervento militare internazionale. L'Unione Europea ha salutato con favore la risoluzione votata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu a favore del ricorso a «tutte le misure necessarie», compresa lo no-fly zone, in Libia e si dice «pronta a mettere in opera», nei limiti delle sue competenze, la risoluzione. Questo è il contenuto di un comunicato di questa mattina. Mentre il Canada ha già inviato sei cacciabombardieri.
Dalla Libia ha parlato Seif al-Islam, uno dei figli di Muammar Gheddafi, che ribadisce che la sua famiglia non «ha alcuna paura» della no-fly zone imposta dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu e di un eventuale attacco multinazionale. «Siamo nel nostro Paese e con il nostro popolo. E non abbiamo paura», ha detto il secondogenito del colonnello, intervistato dalla ABC News, in collegamento telefonico dalla capitale libica. «Non abbiamo paura, venite pure. Voglio dire, però, che non aiuterete la gente bombardando la Libia, uccidendo i libici. Se distruggerete la nostra nazione, nessuno potrà gioire».
Gli Stati Uniti hanno schierato quattro navi da guerra e un sottomarino nella regione. Il presidente Barack Obama, in viaggio in Sud America, ha telefonato all'omologo francese, Nicolas Sarkozy, e al premier britannico, David Cameron, per concordare le prossime iniziative.
Secondo l'agenzie di stampa Agi, ancora nulla è stato deciso ma l'Italia sarà presto chiamata dagli alleati della Nato a fare la sua parte per la no-fly zone sulla Libia votata ieri sera dalle Nazioni Unite. Se sembra difficile che jet italiani, visto il passato colonialista in Libia, possano attaccare il Paese nordafricano, il governo potrebbe offrire almeno tre basi per ospitare gli aerei da guerra di altri Paesi membri della Nato. Tra le diverse opzioni le più gettonate sono la base di Sigonella, in Sicilia vicino Catania, dove si trova una stazione della Marina Usa e il 41.mo Stormo Antisommergibili, e quella di Trapani Birgi, sede del 37.mo stormo. In Puglia, allungando di circa un'ora i tempi di intervento, c'è la base di Gioia del Colle, in provincia di Bari, che ospita il 36.mo stormo. Anche di questo avranno parlato ieri sera il premier Silvio Berlusconi, che approfittando dell'intervallo durante l'esecuzione del Nabucco di Verdi ieri sera al Teatro dell'Opera di Roma, ha avuto un conciliabolo con il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Alla fine del colloquio Berlusconi ha aggiornato il capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
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