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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 13:10.
L'ultima modifica è del 20 marzo 2011 alle ore 08:10.

Tutto questo fu chiarito riflettendo sul crocifisso: se dall'albero della croce pende il Figlio di Dio fatto uomo, resosi in tutto partecipe della condizione umana, eccetto che nel peccato, ogni nato da donna ne viene illuminato nel valore infinito del suo essere singolare, per quanto provata e crocifissa possa essere la sua condizione storica. Non si tratta, com'è evidente, di riflessioni astratte o lontane dalla nostra immediatezza, come vorrei mostrare ricorrendo a tre esempi, che ribadiscono quanto prezioso e importante per tutti sia il messaggio che viene dal crocifisso, in particolare in quanto esposto in luoghi propri della vita pubblica. Penso, anzitutto, agli attuali rumori di possibili, pesanti e certamente dolorosi interventi bellici: chi non si è indignato di fronte alla violazione dei diritti umani e allo sprezzo della vita degli stessi propri connazionali mostrato dal dittatore imprevedibile di un paese a noi così vicino? Chi non sente lo spessore drammatico di decisioni che potranno comportare il rischio e la perdita di altre vite umane, sia pur se in nome della difesa dei diritti calpestati dei più deboli?
Il ripudio della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti, recepito anche dalla nostra Carta costituzionale, si radica nel patrimonio valoriale che la meditazione sul crocifisso ha offerto alla storia, valorizzando l'essere personale e la solidarietà fra gli umani.
Penso, poi, alla tanto dibattuta questione del federalismo: autentico arricchimento al servizio del bene comune, se pensato a partire dal rispetto delle identità locali e del loro patrimonio spirituale e culturale, pericolosa iattura, se dovesse favorire l'egoismo dei più forti a danno delle aree più deboli e bisognose del paese. Che cos'è un "federalismo solidale" se non l'applicazione dei valori trasmessi dal crocifisso in vista dell'equa coniugazione di globalità e località nella vita della nazione e nella distribuzione delle sue risorse?
Penso, infine, all'acceso dibattito sulle dichiarazioni anticipate di trattamento: è la dignità infinita dell'essere personale - anche in stato vegetativo - a imporre il duplice no all'eutanasia e all'accanimento terapeutico. È questa stessa dignità che esige il rispetto di volontà espresse senza ambiguità dalla persona, compatibili con quanto scienza e coscienza impongano ai medici curanti e a chi sia legato affettivamente all'infermo. Il crocifisso che grida "ho sete", poi, fa seriamente pensare al necessario sostegno vitale rappresentato dall'idratazione e dall'alimentazione. Guardare al crocifisso senza pregiudizi potrà aiutare a trovare vie legislative che da una parte rispettino la dignità personale e dall'altra impediscano arbitrii giudiziari.
Una ricerca non facile, certo: da duemila anni, tuttavia, quel crocifisso ci invita a non scegliere scorciatoie compromissorie, al fine di maturare scelte a caro prezzo in nome dell'amore più grande, nella ricerca disinteressata e responsabile del bene comune. Senza quel crocifisso esposto nelle tante "agorà" della vita e della storia saremmo, insomma, certamente peggiori di come siamo. Riconoscerne il messaggio e viverlo insieme, da credenti e non credenti, non potrà che renderci tutti migliori, eredi di quel patrimonio culturale e spirituale cristiano da cui veniamo, di cui la celebrazione dei centocinquant'anni dell'unità nazionale sembra averci opportunamente resi più consapevoli e fieri.
Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto
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