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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 07:51.
dal nostro inviato Adriana Cerretelli
Un colpo di sfortuna: proprio non ci voleva l'improvvisa crisi di governo in Portogallo nel giorno in cui l'Europa, soprattutto l'Eurogruppo, si apprestavano a compiacersi, e a ragione, della grande riforma varata a tambur battente, in meno di un anno, per restituire stabilità e credibilità all'euro: nuova governance economica, nuovo patto di competitività, rafforzamento del patto di stabilità, creazione di un fondo di stabilizzazione permanente (Esm) da 500 miliardi.
Invece della festa, il principio di una nuova possibile emergenza. Dopo Grecia e Irlanda, anche il Portogallo sarà costretto a battere cassa ai partner?
«La mia preoccupazione è sempre una sola: difendere il Portogallo, la moneta unica e il progetto europeo», ha dichiarato José Socrates, il premier dimissionario dopo la bocciatura parlamentare del suo pacchetto di austerità, arrivando al vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 che stava per aprirsi a Bruxelles. Prima dell'inizio dei lavori, il tete à tete con la tedesca Angela Merkel. Che è tornata a lodare pubblicamente, dopo averlo già fatto al summit dell'11 scorso, «il suo programma molto esigente e ambizioso di riforme» ricordando che «chiunque ha o avrà responsabilità di governo a Lisbona ne dovrebbe condividere gli obiettivi per recuperare la fiducia dei mercati».
Messaggio chiarissimo: dal rigore non si scappa, sia che il paese si risolva a tirar dritto senza chiedere l'euro-prestito sia che il salvataggio si riveli inevitabile. Saranno in gran parte i mercati a deciderlo. Per ora tanto Socrates, quanto il leader dell'opposizione Pedro Passos Coelho, ieri a Bruxelles per il vertice dei leader popolari europei, negano qualsiasi intenzione di chiedere aiuti. E certo l'Eurogruppo preferirebbe che così fosse. Per una ragione evidente ha lasciato intendere il lussemburghese Jean-Claude Juncker: «Spero che se il Portogallo si deciderà a questo passo, la Spagna non diventi subito dopo il bersaglio dei mercati in uno stupido gioco del domino che metta alle strette un paese dopo l'altro». Domino, l'incubo inconfessabile di tutti.
Detto questo, l'Eurogruppo è pronto a intervenire in caso di bisogno e lo dice forte e chiaro. Tanto che, con una sortita inconsueta, ieri il presidente dell'Eurogruppo ha addirittura quantificato l'ammontare ipotetico del prestito in 75 miliardi di euro. Con 250 effettivi, le risorse dell'Efsf, l'attuale fondo salva-Stati, sono più che sufficienti, anche se è stato rimandato a giugno l'aumento a 440 miliardi. «È positivo avere disponibile una capacità di intervento», ha rassicurato il premier svedese Fredrik Reinfeldt. L'olandese Ruud batte sul tasto della condizionalità, del rigore necessario per ottenerlo.
«Il patto per l'euro è antisociale», «no all'austerità, sì alla crescita e al lavoro» gridavano intanto nelle strade di Bruxelles 20-30mila manifestanti arrivati da mezza Europa, anche dalla Germania, per denunciare una politica indigesta, fatta di troppi sacrifici. Dietro l'appello il Ces, la Confederazione dei sindacati europei. Ma il problema è sentito, reale. Insieme al sospetto, che tanto sospetto non è, che oggi in Europa sia molto più facile per i governi salvare le banche a suon di aiuti pubblici quasi illimitati, invece dei posti di lavoro della gente comune.
Banche, l'emergenza semi-occulta che fa tremare almeno quanto la crisi conclamata dei debiti sovrani, che continua a scuotere l'euro. Non a caso ieri il comunicato finale del vertice ha registrato l'impegno dei leader europei a intervenire a sostegno degli istituti di credito più vulnerabili senza aspettare giugno, cioè senza aspettare l'esito degli stress test. Gli interventi potranno consistere in ristrutturazioni, vendite di asset o passare per il ricorso a nuove iniezioni di capitali pubblici.
Non a caso, del resto, ieri Moody's ha deciso di abbassare il rating di 30 banche spagnole. Non a caso l'Irlanda, alla disperata ricerca di un rinegoziato sulle condizioni del suo prestito europeo (minori tassi di interesse e scadenze più lunghe), prima di tornare alla carica con i partner aspetta l'esito degli stress test sulle sue banche, che saranno noti il 31 marzo. Proprio nel suo euro-prestito, a disposizione specificamente per rifinanziarle, ci sono in tutto nientemeno che 35 miliardi. Dopo i 46 miliardi di aiuti pubblici, pari al 28% del Pil del paese, che il vecchio governo ha già erogato alle banche. Per non parlare degli altri 96 miliardi di prestiti ricevuti dalla Banca centrale europea.
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