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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 08:26.
L'ultima modifica è del 29 marzo 2011 alle ore 06:39.

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La regione ha paura anche perché, come dice il sostituto procuratore nazionale antimafia Anna Canepa, in Liguria «la criminalità organizzata di stampo mafioso ha interesse a rendersi invisibile, per dedicarsi meglio agli affari». Tra giugno 2009 e luglio 2010 ci sono state appena 43 notizie di reato per estorsione o tentata estorsione e quattro notizie di reato per usura. «A fronte di ciò – continua Canepa – sono state iscritte ben 234 notizie di reato per attentati incendiari di varia portata, quasi tutti contro ignoti. Altre tipologie di danneggiamento hanno fatto registrare 491 nuove iscrizioni. Questi numeri confermano i dati degli anni precedenti ed evidenziano che il territorio è soggetto a una pressione innegabile di ambienti criminali e che questo crea difficoltà alle economie locali».

Se il Ponente è inquinato, il Levante non è da meno. Arcola, Ortonovo, Sarzana sono Comuni dove la 'ndrangheta è riuscita a mettere in minoranza le "decine" di Cosa nostra e a giungere a una spartizione di affari anche con i Casalesi. A cavallo delle due Riviere c'è Genova, dove negli ultimi tempi è cambiato il vento. Il sindaco Marta Vincenzi, con il segretario generale Maria Angela Danzì e il prefetto Francesco Musolino, arrivato da Reggio Calabria, ha trovato le sponde che mancavano per combattere la battaglia contro le infiltrazioni nel territorio.
Una battaglia senza esclusioni di colpi. Anche bassi, come quello che ha colpito proprio il prefetto Musolino, che dal 18 dicembre 2009, atto del suo insediamento, ha gridato a destra e a manca che avrebbe puntato sulla costruzione di una gigantesca banca dati in collaborazione con Dia e Ros che ricostruisse la vita dei fornitori comunali, sulla white list (l'elenco delle imprese edili neppure sfiorate da sospetti) e, infine, sulla creazione di una centrale unica. «Sono troppi qui a dare appalti», dichiarò nel luglio 2010. Per toglierselo di torno c'è chi ha tirato fuori la storia di un "bagno d'oro" che avrebbe commissionato per i suoi alloggi. Una bufala che ora si ritorce contro chi trama dietro le quinte, visto che ha compattato ancor di più Comune e investigatori, che hanno scoperto che alcune imprese erano in odore di mafia ma, soprattutto, senza incontrare ostacoli, dal Sud si erano trasferite a Genova per lucrare sugli appalti.

Con una criticata circolare, il 16 febbraio il segretario generale Danzì ha deciso di non escludere il criterio del massimo ribasso per gli appalti minori, che valgono 21 milioni contro i 29 delle grandi opere. «Favorite la mafia», hanno urlato edili e sindacati, ma Genova non farà retromarcia. «Lo scriva – dicono all'unisono Vincenzi e Danzì – che non solo non torniamo indietro, ma verificheremo in contraddittorio con le imprese le offerte anomale e andremo poi a fare la Tac alle imprese vincitrici: dal capo cantiere all'ultimo dei muratori. Con noi collaboreranno anche Dia e Ros».

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