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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 09:11.

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Fini: sul caso Ruby parola all'Aula il 5 aprileFini: sul caso Ruby parola all'Aula il 5 aprile

ROMA. Ai numeri la partita finisce in pareggio, ma è la maggioranza a centrare l'obiettivo: sarà infatti l'aula della Camera a esprimersi sulla richiesta avanzata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili, di sollevare il conflitto d'attribuzione davanti alla Consulta sul caso Ruby. Un passaggio cruciale per il premier Silvio Berlusconi che cadrà, a meno di slittamenti dovuti all'esame del ddl sul processo breve, alle 15 del 5 aprile in diretta tv, alla vigilia dell'inizio del processo che lo vede accusato di concussione e prostituzione minorile.

Un risultato arrivato ieri dopo una giornata tesissima cominciata di buon mattino con Gianfranco Fini che ha aperto la riunione dell'ufficio di presidenza ribadendo la necessità di portare in aula la questione del conflitto. Poi, dopo una lunga interruzione, l'ufficio è tornato a riunirsi nel pomeriggio senza però giungere a un parere da sottoporre all'aula: il confronto è infatti finito in perfetta parità. Nove voti a favore e nove contrari alla richiesta della maggioranza, per via dell'assenza, per malattia, del deputato del Mpa Angelo Lombardo (che avrebbe portato a dieci le teste dell'opposizione), e della scelta di Fini, peraltro annunciata nelle scorse settimane, di non esprimersi.

Fin dalla mattinata il presidente della Camera aveva però ribadito che la vicenda sollevata dalla maggioranza «presenta aspetti speciali e unici» sia perché nei tre precidenti in materia «la valutazione negativa di tale organo ha condotto alla mancata sottoposizione della questione all'assemblea», sia per gli equilibri interni all'ufficio di presidenza (negli altri casi si era sempre registrata la prevalenza numerica dei deputati di maggioranza). «Nella presente circostanza – aveva spiegato il leader di Fli – la decisione dell'ufficio, a causa della composizione dell'organo (10 voti a 9 per l'opposizione, escluso Fini, ndr) può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi».

Il presidente della Camera aveva quindi ricordato che il passo della maggioranza si collega poi «oggettivamente» alla deliberazione dell'aula del 3 febbraio scorso. Quando la Camera respinse la domanda, firmata dai pm milanesi, di autorizzare la perquisizione degli uffici del cassiere di fiducia del premier, Giuseppe Spinelli, figura chiave nel Ruby-gate. «La richiesta di elevare il conflitto, dunque, nel caso di specie è considerata dai richiedenti lo strumento per assicurare, in sede di contenzioso costituzionale, una tutela effettiva della volontà già manifestata dall'asssemblea».

Da qui, dunque, la linea di Fini di coinvolgere l'aula. Una posizione rimarcata dal leader di Fli a pareggio avvenuto. «Alla luce del voto che ha certificato l'impossibilità dell'ufficio di presidenza di portare un proprio parere in aula, è ancor più necessario che sia l'assemblea ad esprimersi».


Alla fine la maggioranza incassa l'esito sperato, ma l'opposizione non risparmia frecciatine all'indirizzo del leader di Fli e della sua scelta di non votare. Così, mentre il numero uno dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, plaude al «senso dello Stato e delle istituzioni» dell'alleato, la presidente dei democratici, Rosy Bindi, morde. «Abbiamo apprezzato la prudenza e la cautela del presidente Fini, ma riteniamo che l'ufficio di presidenza avrebbe potuto esprimersi con un voto per evitare di esporre la Camera all'ennesimo vulnus della sua dignità». E il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, commenta non senza una punta di ironia. «La maggioranza vuole costringerci a dire che Ruby è la nipote di Mubarak. Ma è palesemente una balla».

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