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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2011 alle ore 17:47.

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Droni Usa in azioneDroni Usa in azione

Due giorni dopo l'annuncio del Segretario alla Difesa, Robert Gates, che sulla Libia avrebbero operato i velivoli teleguidati statunitensi allo scopo di "colmare il gap presente nelle forze alleate", il Pentagono ha reso noto che il primo attacco missilistico perpetrato da un "drone" Predator è stato effettuato nel primo pomeriggio di oggi.

L'impiego degli Uav (Unmanned Aerial Vehicle) dovrebbe consentire secondo Gates di condurre ''attacchi più precisi'' contro le forze di Gheddafi e rappresenta un ritorno sul campo di battaglia dell'aeronautica statunitense dopo il ritiro dei jet da combattimento dall'operazione Nato "Unified Protector" a inizio aprile.

Difficile dire se l'intervento dei droni rappresenti una reale volontà di Washington di imprimere una svolta a una guerra che appare in stallo e senza sbocchi o si tratti solo di una presenza simbolica al fianco degli alleati europei. L'ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Riuniti, ha affermato che "con i raid internazionali è stato messo fuori gioco tra il 30 e il 40 per cento delle unità terrestri di Gheddafi che è però ancora in grado di muovere le sue forze e il conflitto rischia si trasformasi in uno stallo".

Sul piano tattico l'impiego dei Predator armati di uno o due missili Hellfire non aumenta di molto la potenza di fuoco delle forze aeree alleate ma consente un ampio miglioramento delle capacità di sorveglianza del campo di battaglia. Per ora ne sono stati resi disponibili solo due, basati a Sigionella, ma con una dozzina di droni saarebbe possibile tenere sotto costante controllo le aree più importanti del conflitto (Tripoli, Misurata, Brega, Agedabia..) puntando obiettivi militari ma anche a individuare e colpire gli uomini chiave del regime libico grazie alle telecamere installate sui velivoli e alla loro lunga autonomia, fino a 20 ore. I Predator, o i più capaci e meglio armati Reaper, possono rendere più efficace ed economico l'intervento dei cacciabombardieri alleati, presenti in una quarantina di esemplari e dotati di un'autonomia che consente di permanere non più di 60 o 90 minuti sulla Libia.

Grazie ai droni è possibile controllare il campo di battaglia da quote molto elevate (al riparto dalla contraerea libica) e individuare con precisione i bersagli a vantaggio delle armi dei jet qualora quelle imbarcate sugli stessi velivoli teleguidati non fossero sufficienti. L'impiego di Pedator e Reaper, protagonisti delle campagne irachena e afghana e dei discussi raids sull'Area Tribale pakistana, solleva negli Stati Uniti questioni che poco hanno a che fare con le prestazioni belliche di questi armi.

Il Washington Post sottolinea che i droni sono considerati da molti musulmani "il simbolo dell'arroganza del potere militare statunitense". David Ignatius, editorialista di politica estera del giornale, sottolinea che Barack Obama ha sbagliato nel mettere in campo i Predator armati con missili Hellfire per lasciare il ruolo di supporto che avevano assunto gli Stati Uniti quando il comando della missione in Libia è passato alla Nato. "Non è stato specificato quali saranno i target dei Predator, ma è certamente probabile che l'obiettivo sia uccidere il leader Muammar Gheddafi o componenti del suo clan", scrive ancora Ignatius, ricordando, come dall'11 settembre in poi, i droni siano stati usati per "attaccare gli operativi di al Qaeda nelle aree tribali del Pakistan dove altre armi non riescono ad arrivare".

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