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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 26 aprile 2011 alle ore 09:31.

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Ritardi e vincoli: la spesa è più caraRitardi e vincoli: la spesa è più cara

Grandi progressi, ma con risultati inferiori rispetto alla media dei Paesi europei: la distribuzione in Italia è stata oggetto di un intenso processo di ammodernamento, che ha rilanciato il dettaglio tradizionale, libero dal peso delle licenze, e ha migliorato la grande distribuzione, conservando una preziosa pluralità di forme diverse. Restano, però, ancora molti vincoli, che portano più costi e che richiedono più concorrenza. Senza contare il forte divario tra Nord e Sud nel commercio.

Il settore della distribuzione in Italia ha compiuto grandi progressi negli ultimi decenni ma, a distanza di 12 anni dalla deregulation del commercio, resta ancora indietro rispetto alla media dei principali Paesi europei. Nel 1998 il Governo di centro-sinistra iniziò un percorso di ammodernamento del settore con il pacchetto di riforme gestito all'epoca dal ministro Pier Luigi Bersani.

Una manovra che, semplificando, puntava sulla liberalizzazione delle licenze per il piccolo dettaglio tradizionale, su regole più chiare per accelerare gli investimenti dei grandi gruppi commerciali e sul trasferimento alle amministrazioni regionali delle competenze sul settore. Successivamente, con la riforma costituzionale del 2001, le Regioni hanno assunto competenza esclusiva nel campo della programmazione commerciale.

Indubbiamente, dal 1998 in avanti il dettaglio tradizionale si è rilanciato. Oggi, se consideriamo il settore dei beni di largo consumo, la quota di mercato resta apprezzabile per l'Italia - come dimostrano i dati elaborati dalla società di ricerca Nielsen - e colloca il nostro Paese, nell'ambito dello scenario europeo, lontano da realtà come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e perfino la Spagna.

Nei principali Paesi la grande distribuzione si è sviluppata in maniera massiccia - in alcuni casi anche eccessiva - determinando un livello di concentrazione notevole delle quote di mercato sulla borsa della spesa dei cittadini. In Italia la quota del piccolo dettaglio resta sopra il 20%, anche se va considerato che oggi è molto più diffusa che in passato la pratica dell'affiliazione (franchising) dei piccoli negozi a grandi catene distributive.

Recentemente, però, la corsa della Gdo è stata frenata dalla crisi dei consumi. I punti vendita in Italia hanno toccato, secondo SymphonyIri Group, il picco nel 2008: 9.048 tra iper, super e superstore; poi però è iniziato il declino, fino agli 8.966 del 2010. «Anche se – spiega Gianmaria Marzoli, commercial director retail di SymphonyIri Group – a volte si chiudono super da 800-1.000 mq e si aprono superstore di 2.500 mq con un guadagno di superficie. A volte, però, s'inaugurano iper o super la cui decisione era stata assunta prima della recessione. Ora la crisi sta facendo una selezione severa, specie nella distribuzione moderna».

In compenso la crisi spinge i discount: negli ultimi sette anni sono balzati del 50% a circa 4.300 punti vendita, per lo più per iniziativa di grandi insegne come Lidl, Europsin, In's. La possibilità di acquistare grocery senza brand a prezzi bassi, specie ora che l'inflazione rialza la testa, è una buona opportunità per molte famiglie italiane nonostante la Gdo svolga un ruolo di calmiere sui prodotti di marca: in 12 mesi, infatti, sono stati accordati sconti e promozioni al consumatore per 4,3 miliardi. Anche se poi c'è una variabile legata all'efficienza delle catene: secondo SymphonyIri Group, la forchetta tra le catene che generano meno inflazione e quelle che ne trasferiscono di più è di ben sei punti e mezzo, compresa cioè fra +3,1% e -3,4 per cento.

Un altro fattore chiave contraddistingue il modello di sviluppo della grande distribuzione in Italia al punto tale da rappresentarne anche una sorta di freno. Al pari dell'industria, c'è un forte divario di crescita del commercio moderno tra Centro-Nord e Sud. Il Rapporto sul sistema distributivo nazionale del ministero dello Sviluppo economico sottolinea a chiare lettere che (dati a fine 2009) la parcellizzazione della rete commerciale (in Italia si contano complessivamente 777mila negozi circa) resta alta, e che il Sud assorbe almeno il 42,2% dei punti vendita: come dire quasi uno su due. Nielsen, dal canto suo, rimarca che il livello di concentrazione dei principali distributori è ancora basso in Italia rispetto alla media dei principali Paesi Ue.

L'Ancc-Coop rimarca poi che, se si guarda allo sviluppo su base territoriale, emerge con evidenza il ritardo del Mezzogiorno: il Nord conta infatti 250 metri di distribuzione moderna grocery (beni di largo consumo) ogni mille abitanti contro i 172 del Centro e i 143 del Sud. Ancora più netto il divario per quanto riguarda le grandi superfici specializzate: 109 al Nord contro 53 al Centro e 43 metri al Sud, a fronte di una media italiana di 197 metri per la distribuzione moderna grocery e 75 metri per le superfici specializzate. «Il Sud ha delle straordinarie potenzialità – sottolinea Vincenzo Tassinari, presidente del Consiglio di gestione Coop Italia – e fa parte della nostra mission cooperativa estendere la presenza e creare una rete nazionale per la commercializzazioni delle produzioni del Sud in tutto il Paese. Coop sta concretizzando in Puglia, Campania e Sicilia un impegnativo piano di sviluppo in controtendenza rispetto al resto della grande distribuzione, che invece preferisce optare per altri territori più facilmente redditizi e abbandonare il Mezzogiorno d'Italia».

Di fatto, osserva Marzoli, «al Sud la produttività per mq è inferiore del 20/25% rispetto al Nord» e questo è motivo di forte stress per alcune insegne come Carrefour che ha deciso, almeno in parte, di ritirarsi.

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