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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2011 alle ore 09:57.

Istat, l'Italia è stata l'economia europea cresciuta meno nel decennio 2001-2010Istat, l'Italia è stata l'economia europea cresciuta meno nel decennio 2001-2010

Tutte le debolezze della nostra economia
L'Istat segnala ancora che la debolezza dell'economia italiana nel corso del decennio ha riguardato l'intero sistema produttivo. L'impatto comparativamente maggiore della crisi è legato però soprattutto alla vistosa caduta dell'attività nel settore industriale, in ragione della specializzazione relativa nella manifattura e, in particolare, nel comparto dei beni strumentali, che caratterizzano la nostra economia. La ripresa della produzione industriale inoltre è stata solo parziale e si è affievolita dalla seconda metà del 2010.

Il lavoro resta un'emergenza
Note dolenti pure sul fronte lavoro, dove la crisi ha avuto un impatto molto pesante. Nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532mila unità, e i più colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d'età in cui si registrano 501mila occupati in meno.

Un giovane su cinque non studia e non lavora
Si conferma altissimo anche il numero di ragazzi, tra i 15 e i 29 anni, cosiddetti Neet (Not in education, employment or training), vale a dire che non studiano e non lavorano. Nel 2010 sono poco oltre 2,1 milioni, 134mila in più rispetto a un anno prima (+6,8 per cento). Si tratta del 22,1% degli under 30, percentuale in aumento rispetto al 20,5% del 2009. L'incremento riguarda soprattutto i giovani del Nord Est, gli uomini e i diplomati, ma anche gli stranieri. Infatti nel 2010 sono 310mila gli stranieri cosiddetti Neet.

Una famiglia su quattro a rischio povertà
E come incidono tutti questi dati sulla popolazione italiana? Che circa una famiglia su quattro (il 24,7% per l'esattezza) sperimenta il rischio di povertà o esclusione, un valore superiore alla media Ue (23,1 per cento). La Strategia Europa 2020 - spiega l'Istat - promuove l'inclusione sociale, puntando a far uscire almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà o di esclusione, una condizione che oggi in Europa interessa 114 milioni di persone (15 milioni solo in Italia, che nel Piano nazionale di riforma si pone l'obiettivo di ridurle di 2,2 milioni).

Al Sud «situazione allarmante»
Gli indicatori individuati per monitorare tale obiettivo sono tre: le persone a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali; le persone in situazione di grave deprivazione materiale; le persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa.

L'Istat rileva inoltre che mentre «nella Ue le persone a rischio di povertà (dopo i trasferimenti sociali) sono il 16,3%, in Italia ammontano al 18,4 per cento». In Italia, sottolinea poi l'Istituto, «l'8,8% delle persone di età inferiore ai 60 anni (il 6,6% della popolazione totale) vive in una famiglia a intensità lavorativa molto bassa, valore prossimo alla media Ue (9 per cento)». Particolarmente allarmante la situazione del Mezzogiorno, «dove la quota delle persone che si trovano contemporaneamente nelle tre condizioni di rischio considerate dalla Strategia Europa 2020 è superiore al 2% (circa 469mila individui)».

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