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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2011 alle ore 10:13.

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Giulio Tremonti (Lapresse)Giulio Tremonti (Lapresse)

Per rispettare la nuova regola europea per i Paesi con un rapporto debito/Pil oltre il 60%, l'Italia dovrà ridurre il debito del 3% l'anno. Vale a dire di circa 46 miliardi. Lo afferma la Corte dei Conti che a palazzo Madama ha presentato l'annuale rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, assieme al presidente del Senato, Renato Schifani e al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

Tremonti: forse la crescita non è sufficiente ma il bilancio ha tenuto
«Forse la crescita non è sufficiente, ma senza la tenuta di bilancio non ci sarebbe stata neanche questa insufficiente crescita», ha detto il ministro dell'Economia nel suo intervento alla presentazione del Rapporto sulla finanza pubblica della Corte dei Conti.

Un aggiustamento simile a quello fatto per l'introduzione dell'euro
Si tratta, ha spiegato la Corte, di «un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni Novanta per l'ingresso nella moneta unica». Sul versante dei conti pubblici dunque, l'Italia dovrà fare «sforzi anche maggiori di quelli accettati». Come mai? Perchè «la fine della recessione economica» non può comportare «il ritorno a una gestione ordinaria del bilancio pubblico». E in più: in questo quadro «é impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale, con la conseguente obbligata rinuncia a esercitare per questa via un'azione di stimolo sull'economia».

Schifani: ora la priorità è la crescita
Per il presidente del Senato, Schifani: «Non è più il tempo delle vie di fuga o delle scorciatoie, ma è dovere di tutti adoperarsi per rispondere alle priorità di crescita e sviluppo della società, che non sono concessioni, ma rappresentano diritti costituzionalmente tutelati dei cittadini». «Per questo resta prioritario - sottolinea Schifani - colpire sprechi e abusi che nascondono le vere esigenze delle persone e delle famiglie, impedendo di aiutare quanti ne hanno davvero diritto». Del resto, ammonisce Schifani «la fine della recessione non può significare fine di una amministrazione e gestione virtuosa del bilancio».

La crisi costerà 160 miliardi nel 2013
Tornando al rapporto sulla finanza pubblica, la Corte dei Conti sottolinea poi «l'eredità dei condizionamenti dovuti agli effetti permanenti causati dalla grande recessione nel 2008-2009» ed evidenzia come «si sia verificata una perdita permanente di prodotto, calcolata a fine 2010 in 140 miliardi e prevista a crescere a 160 miliardi nel 2013».

Impervio il percorso della finanza pubblica
In buona sostanza i magistrati contabili ricordano «quanto impervio sia il percorso che la finanza pubblica italiana è chiamata a seguire nei prossimi anni per rispettare i vincoli europei e rendere possibile una crescita economica più sostenuta». «Non è sufficiente che la spesa primaria rimanga costante in rapporto al prodotto, e neanche che rimanga costante in termini reali», sottolineano. «È necessario - rilanciano - che si riduca in termini reali, rispetto a livello, già compresso, previsto nel Def per il 2014. Non essendo quindi sufficiente limare ulteriormente al margine la spesa pubblica occorre interrogarsi su quelli che possono realisticamente essere i nuovi confini e i nuovi meccanismi dell'intervento pubblico nell'economia».

Ancora spazi ampi per recupero evasione
Per i giudici contabili poi «gli spazi da recuperare a tassazione sono ancora molto ampi». Servono comunque «azioni idonee a favorire il consolidamento di comportamenti di massa più corretti». Questo perchè , spiega la Corte, «gli effetti finanziari del contrasto all'evasione fiscale potranno continuare a essere determinanti nella misura in cui si riuscirà a trovare il necessario equilibrio tra l'azione repressiva e l'induzione alla tax compliance».

La Corte dei Conti rileva come nel recente passato si sia ridotto il ricorso alle entrate una tantum ricorrendo viceversa «all'intensificazione e al potenziamento delle attività di contrasto all'evasione». L'analisi dei risultati conseguiti «conferma l'efficacia degli strumenti utilizzati anche se interrogativi si pongono sulla loro capacità di assicurare anche per il futuro la tenuta del livello complessivo dell'entrata». Questo - secondo i magistrati contabili - «vale per i proventi da giochi e i risultati in materia di riscossione per i quali sono da attendersi difficoltà via via maggiori per continuare a realizzare gettiti significativamente crescenti.

L'economia sommersa vale 275 miliardi
Per quanto riguarda infine il gettito da lotta all'evasione «questa componente ha portato «circa 63 miliardi, il 58,5% delle maggiori entrate nette complessive stimate dal 2006 al 2013 ma con un crescendo che nelle manovre 2009 e 2010 attribuisce alla lotta all'evasione la quasi totalità delle maggiori entrate previste». La Corte dei Conti ricorda le dimensioni del fenomeno: come stimato dall'Istat «l'economia sommersa potrebbe aver raggiunto nel 2008 la quota del 17,5% del Pil ossia 275 miliardi interrompendo la tendenza al ridimensionamento avviata sette anni prima». E nella considerazione del percorso avviato dal Tesoro in vista di una riforma del sistema fiscale, la Corte guarda positivamente alla possibilità di «verificare gli spazi di manovra per un incisivo processo di ridimensionamento di esenzioni e agevolazioni, finalizzato all'ampliamento delle basi imponibili».

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