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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2011 alle ore 14:55.

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I tifosi della Juve vincono il campionato degli stadi pieni. Nella foto la curva bianconera allo stadio Olimpico di Torino (LaPresse)I tifosi della Juve vincono il campionato degli stadi pieni. Nella foto la curva bianconera allo stadio Olimpico di Torino (LaPresse)

Non è vero che il calcio italiano piace sempre meno ai tifosi che frequentano lo stadio. Che gli impianti sono deserti come mai prima d'ora. Che la tessera del tifoso introdotta nel campionato appena concluso abbia convinto un numero importante di persone che la partita è meglio vederla davanti alla tv, che si fa meno fatica e nessuno ti chiede di vuotare le tasche all'ingresso.
Secondo l'autorevole portale web tedesco transfermarkt.it, l'Italia del pallone non è cambiata rispetto allo scorso anno. Almeno, non in modo così decisivo da giustificare il luogo comune che dice che i tifosi del bel Paese abbiano scelto la via del piccolo schermo perché gli impianti di casa nostra sono poca cosa rispetto a quelli che si vedono in giro per il mondo.

Rispetto al torneo 2009-10, si registra un saldo negativo di circa 400 mila presenze, che in termini percentuali è pari al 4%. Nella scorsa stagione erano stati 9 milioni e 571 mila gli appassionati che avevano deciso di seguire la squadra del cuore allo stadio, contro i 9 milioni e 169 mila che invece risultano al termine del campionato 2010-11.
Un decremento del 4% non può essere considerato, di per sé, un dato tanto preoccupante da mettere in stato di allarme i vertici della Federcalcio. Soprattutto se si considerano i numeri registrati negli anni precedenti. Nel 2007-08, le persone che sono entrate in un impianto italiano per seguire una partita di serie A sono state 9 milioni e 140 mila. Meno, pure se di poco, della stagione appena conclusa.
Ma cosa dire allora dei 7 milioni e 306 mila del 2006-07? L'Italia aveva vinto il Mondiale di Germania, ma c'era il veleno del dopo Calciopoli che ancora scorreva nelle vene dei seguaci più tiepidi. Juventus e Napoli giocavano in serie B e c'era poca voglia di fare festa.

Insomma, non è vero che il calcio italiano piace sempre meno ai tifosi che frequentano lo stadio. Il problema è un altro. Nasce dalla scarsa capacità delle società di casa nostra di attrarre nuovo pubblico, di conquistare nuovi tifosi, di proporre un servizio di accoglienza e di cortesia che all'estero va alla grande e qui da noi, beh, qui da noi è proprio poca cosa.
C'è un valore in percentuale che riassume questa tendenza: 55%. E' l'indice di sfruttamento degli stadi di serie A, che secondo transfermarkt.it vengono utlizzati a mezzo servizio, semipieni o semivuoti, dipende dai punti di vista e dai singoli casi.
L'Olimpico di Torino ha fatto registrare nel 2010-11 un'affluenza totale di circa 393 mila persone per i 19 incontri casalinghi della Juventus, pari ad un indice di sfruttamento dell'81,4%, primo della lista. Seguono il San Paolo di Napoli con il 75,5% (866 mila spettatori complessivi) e il San Siro di Milano sponda Inter con il 73,4% (1 milione e 116 mila persone). In coda, il San Nicola di Bari (33,9%), il Bentegodi di Verona (33,2%) e il Via del mare di Lecce (31,7%).

All'estero, si segue il calcio in modo diverso. Sempre riferendoci ai dati relativi alla stagione 2010-11, si può dire che in Germania, Spagna ed Inghilterra le cose vadano molto meglio che da noi. Lo dicono i numeri. La Bundesliga ha chiuso il campionato con un saldo di 13 milioni di spettatori al botteghino per 306 partite disputate, contro i 9 milioni italiani per 380 incontri. Altro che differenza, un abisso. Che diventa ancora più profondo se consideriamo l'indice di sfruttamento, che in Germania è stato pari al 93% e da noi, lo ricordiamo, appena il 55%.
Discorso simile per l'Inghilterra (13 milioni e 405 mila spettatori per 380 gare, indice pari al 91%) e per la Spagna, anche se per gli iberici i numeri non sono così roboanti (10 milioni e 750 mila spettatori per 380 partite, indice 72%). E' un dato di fatto, nel calcio europeo di prima fascia gli stadi sono al servizio del calcio, e non viceversa. Per la gioia delle società che incassano denaro e vendono magliette e cappellini. Per la gioia del pubblico, che si sente protagonista di una grande festa e rinnova il proprio tagliando con il sorriso di chi si sente soddisfatto del servizio che riceve.

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