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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2011 alle ore 08:39.
ROMA - Il referendum numero 1, che i comitati referendari hanno promosso come consultazione sulla «privatizzazione dell'acqua», ha bisogno di chiarimenti a partire da questo slogan. Il quesito mira a eliminare due norme fondamentali della disciplina di tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica: l'articolo 23-bis del decreto legge 112/2008 e l'articolo 15 del Dl 135/2009 che aveva modificato il testo del primo.
In sostanza si tratta di una sola disciplina (nota come «riforma Fitto-Ronchi») che detta le regole per gli affidamenti delle gestioni nei settori di acqua (acquedotti, fognatura e depurazione), trasporti e rifiuti. Dal nuovo regime sono esentati esplicitamente quattro settori: distribuzione del gas e dell'energia elettrica, farmacie e trasporto ferroviario. Non si vota solo sull'acqua, quindi, ma anche sugli autobus e le metropolitane e sulla raccolta dei rifiuti.
L'acqua resta bene pubblico a tariffa amministrata
Per legge l'acqua è un bene demaniale che appartiene allo Stato. La tariffa idrica è pubblica, determinata con procedimento amministrativo: nessun gestore può fissare il prezzo dell'acqua. Pubblico è il procedimento di affidamento della gestione. Pubblici sono pianificazione e controllo delle gestioni idriche, affidati agli Ato composti dagli enti locali. Pubblica è la pianificazione degli investimenti, affidata a un piano di ambito, approvato dagli enti locali. Questo impianto garantista non è mai stato in discussione.
L'abolizione del divieto di gestioni «in house»
Le gestioni «in house» sono quelle affidate dall'ente locale senza alcuna gara a una propria azienda controllata al 100%. Per fare due esempi concreti, si parla di aziende come Trambus per il trasporto locale e Ama per i rifiuti a Roma.
L'«in house», ammesso dalle regole Ue con rigorosi paletti e limitato ad attività tipiche dell'amministrazione pubblica, era stato legittimato nell'ordinamento italiano dall'«emendamento Buttiglione» all'articolo 14 del decreto legge 269/2003. La stagione 2003-2009 ha visto il dilagare degli affidamenti «in house» in tutti i settori.
La legge Fitto-Ronchi prevede il divieto esplicito di affidamento «in house». Mira a bloccare il dilagare delle gestioni pubbliche senza gara. È più severa delle regole europee in fatto di concorrenza. Sono ammesse eccezioni - che devono essere 'vistate' dall'Antitrust - dove non ci fosse un'offerta sufficiente di mercato.
L'esito positivo del referendum porterebbe all'abrogazione del divieto delle gestioni «in house» e riporterebbe alle regole Ue (subito applicabili) e all'emendamento Buttiglione. Nella sostanza, anche a detta dei referendari, la vittoria del sì riporterebbe sotto le gestioni di aziende pubbliche controllate al 100% dagli enti locali, tutti i servizi di acqua, autobus e rifiuti.
Corsia preferenziale alla gara o concorrenza per il mercato
La rete degli acquedotti è un monopolio naturale: non è ipotizzabile un secondo servizio in concorrenza. In questi casi si può imporre solo un regime di concorrenza «per» il mercato. Più offerte si confrontano in gara su parametri fondamentali della gestione e la migliore si aggiudica il servizio per un certo numero di anni. Questo prevede la riforma Fitto-Ronchi: gare per affidare tutti i servizi pubblici locali. In prima battuta, gli enti locali responsabili sono tenuti ad assegnare il servizio tramite gara cui possono partecipare tutti i tipi di società: private, pubbliche, miste pubblico-privato. A regime, questo è il modello imposto dalla riforma.
Se il referendum passasse, le gare sarebbero ancora possibili da parte degli enti locali, ma non più obbligatorie.
Resta l'azienda pubblica, obbligo di cedere il 40%
Il decreto Fitto-Ronchi prevede una seconda opzione. Qualora l'ente locale decidesse di mantenere la gestione senza ricorrere alla gara, sarebbe obbligato a cedere almeno il 40% del capitale oppure, se la società è quotata in Borsa, a scendere sotto il 30%.
Questa è la norma che passa per privatizzazione obbligata. Dall'impianto è evidente che un ente locale che non voglia accedere alla gara e voglia mantenere il servizio alla prorpia azienda, sarà costretta ad aprirla al capitale privato (o di altra azienda pubblica). Questa norma impedisce il mantenimento totale del capitale pubblico, favorisce intese anche fra aziende pubbliche, incentiva l'ingresso di soci privati industriali nelle compagini pubbliche. Il socio di minoranza dovrà essere scelto con gara «a doppio oggetto» che verifichi sia le qualità soggettive del candidato socio che le condizioni del servizio.
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