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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2011 alle ore 07:56.

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Al Nord il segnale «contro» più forte: 10% in più di votantiAl Nord il segnale «contro» più forte: 10% in più di votanti

Di Roberto D'Alimonte
I dati sono chiarissimi. Il quorum è stato superato in tutte le regioni del Paese e in 102 province su 110. Non è stato superato a Sondrio, a Foggia, in tre province calabresi e in tre siciliane. E sono ancora una volta, dopo le amministrative, il Nord e il Centro a penalizzare più chiaramente la maggioranza di centro-destra.

Parliamo di quorum invece che di 'sì' e di 'no' perché si sapeva - e il verdetto delle urne lo conferma - che chi è andato a votare lo ha fatto perché era decisamente contrario alle posizioni del governo su nucleare, acqua e legittimo impedimento. Anche il confronto con il referendum sul nucleare nel lontano 1987 è indicativo.

Allora andarono a votare il 65,1% degli aventi diritto, ma a quel tempo l'astensionismo strategico non era ancora stato utilizzato come tecnica elettorale dagli oppositori dei quesiti. I 'no' furono il 19%. In valore assoluto i 'sì' furono circa 21 milioni. Oggi sono oltre 24 milioni. Ma c'è di più. I 'sì' oggi rappresentano la maggioranza assoluta degli aventi diritto e non solo dei votanti. Difficile immaginare un verdetto più chiaro di così.

Un risultato del genere non sarebbe stato possibile senza il contributo di una parte dell'elettorato tradizionalmente berlusconiano. Nell'inchiesta demoscopica di cui si parla in altra parte del Sole 24 Ore in edicola questa ipotesi pare confermata. Il nucleare è un tema così impopolare che non solo ha mobilitato contro la politica del governo una parte dei suoi stessi sostenitori abituali ma anche una quota di elettori che di solito non vanno a votare. Basta fare due conti molto semplici. Nelle elezioni politiche del 2008 hanno votato per i partiti del centrodestra 18 milioni di elettori, per quelli dal centro alla sinistra (dalla Fed all'Udc) altri 18 milioni. In questo referendum hanno votato per il 'sì' oltre 24 milioni su 27 milioni che sono andati alle urne. Una parte di questi viene dall'astensionismo, ma gli altri vengono certamente dai partiti di centrodestra.

Il trend è omogeneo ma ci sono delle differenze geografiche non del tutto trascurabili. Tra le regioni del Nord e del Centro e quelle del Sud si registra una differenza di circa dieci punti nella affluenza. Anche questo è un dato in linea con quello delle amministrative. Anche in quella consultazione è stato il Nord la zona dove si sono verificati i cambiamenti più significativi a sfavore di Berlusconi mentre nelle regioni del Sud la coalizione di centrodestra è andata meglio, a parte il caso di Napoli. Ed è proprio per questo motivo che all'interno del quadro complessivo colpisce il caso anomalo della Lombardia e di Milano. Qui l'affluenza è stata sotto la media nazionale, come nelle regioni del Sud. In Veneto è andato a votare il 58,9% degli elettori, in Lombardia il 54,3%, come in Basilicata. Il dato di Milano è più vicino a quello di Bari che a quello di Torino. Eppure sono passati solo pochi giorni dalla elezione trionfale di Pisapia.


È un dato che deve far riflettere chi vede in questo voto referendario una ulteriore prova della ipotesi del crollo della coalizione berlusconiana. In questa interpretazione c'è del vero. Cominciano ad essere numerosi i segnali che tra Berlusconi ed il suo elettorato non c'è più il feeling di una volta. Su temi importanti il Cavaliere non è riuscito a convincere tutti i suoi sostenitori. Tuttavia, come abbiamo già detto in occasione delle elezioni amministrative, è prematuro arrivare alla conclusione che siamo di fronte ad un riallineamento elettorale. La leadership di Berlusconi è fortemente appannata ma il premier ha ancora delle frecce nel suo arco.

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