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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2011 alle ore 12:15.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2011 alle ore 08:39.
di Stefano Folli
Ormai il quorum è sicuro. Quando si è visto che alla chiusura dei seggi, alle 22 di ieri sera, l'indice superava il 41 per cento, si è capito che la battaglia dei referendari sta per essere vinta. Con quali conseguenze politiche lo vedremo a partire da stasera.
In ogni caso resta ancora da chiarire il peso del voto all'estero: una percentuale finale del 54-55 per cento garantirebbe da possibili colpi di scena (salvo un eventuale ricorso circa la formulazione del quesito sul nucleare votato all'estero, diverso da quello su cui ci si è espressi in Italia).
La partecipazione è stata alta e costante per l'intera giornata. Segno che una maggioranza di italiani ha avvertito l'importanza della consultazione e si è recata alle urne senza troppo guardare alle differenze politiche e alle appartenenze partitiche. Ci sarà tempo poi per le analisi più dettagliate. Fin d'ora si può dire che l'affluenza è stata considerevole soprattutto al Nord, il che significa che, in linea generale, le aree tradizionalmente vicine al Pdl e in particolare alla Lega non hanno disertato le urne.
Ed è un dato molto significativo quando si darà appunto una lettura "politica" del risultato. Naturalmente le aree vicine al centrosinistra hanno risposto bene, come peraltro ci si attendeva, ma senza picchi straordinari. Il Sud ha votato meno del centro-nord, secondo tradizione, per buona parte della giornata di domenica. In serata però, come hanno visto gli studiosi dei flussi, la partecipazione è cresciuta anche nel Meridione e in qualche caso ha quasi raggiunto l'affluenza del centro-nord.
Ma il punto era ed è il seguente: ammettendo che le opposizioni nel loro complesso riescano a portare alle urne la grande maggioranza dei loro elettori, cosa fanno gli italiani che di solito votano Pdl-Lega? Questo era il problema che doveva decidere fra il quorum o la vittoria dell'astensione. Cioè fra la vittoria del fronte referendario e la sua sconfitta. Ebbene, i dati di domenica alla chiusura (41,1 per cento) confermano che molti elettori di centrodestra sono andati al seggio. Che poi abbiano votato "sì" o "no" è secondario. Quello che conta – come abbiamo ripetuto più volte – è l'elemento in grado di far pendere la bilancia dalla parte del quorum. Non solo. E' anche l'elemento che oggi pomeriggio potrà offrire una chiave di lettura decisiva per comprendere le ricadute del referendum sul piano degli equilibri nazionali.
Conseguenze ce ne saranno di sicuro, perché il referendum sta confermando che esiste un grande fermento nell'elettorato. Un fermento che si è incanalato nei quattro quesiti (tutti hanno in sostanza lo stesso indice di partecipazione) proprio perché ha trovato questo strumento con cui esprimersi. Ma che riflette un malessere più di fondo. Un desiderio di cambiamento, si potrebbe dire. Una voglia di scuotere l'albero ingessato della politica. Possiamo esser certi che nel pomeriggio Di Pietro, Vendola e anche Bersani parleranno da trionfatori. E sul piano strettamente politico non avranno torto.
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