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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 09:34.

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ROMA - Manca ancora una politica per l'acqua in Italia, che continua a tentennare a 17 anni dalla legge Galli: non saranno i due referendum su privatizzazione e tariffa idrica a risolvere i problemi sul tappeto. Tutt'al più, una vittoria del sì, con il ritorno delle gestioni «in house» a tappeto (già oggi è il 60% del totale e un altro 33% sono spa miste a maggioranza pubblica), potrà ridurre il tasso di concorrenza e trasparenza, accentuare le difficoltà di finanziamento dei 64 miliardi di investimenti programmati da parte del sistema bancario, allontanare nel tempo l'industrializzazione di un settore strategico per la crescita come quello dei servizi pubblici locali, rafforzare l'«illusione fiscale» che la riduzione della tariffa corrisponda alla riduzione dei costi mentre si limita solo ad aumentare i disavanzi di gestione o l'imposizione generale.

Dei 64 miliardi di investimenti programmati in 30 anni, a un ritmo di 2,2 miliardi l'anno, più della metà riguardano i sistemi di fognature e depurazioni. Si realizza solo il 56% di quanto previsto, poco più di un miliardo l'anno. Venti giorni fa l'Italia ha ricevuto la seconda procedura di infrazione da Bruxelles per i ritardi e le inadempienze con cui sta procedendo la realizzazione del sistema di depurazione, necessario per garantire la qualità dell'acqua. Oltre il 30% degli italiani non sono ancora attaccati a un depuratore.

Il sistema pubblico non garantisce né certezza né tempestività di finanziamento e realizzazione degli investimenti. Oggi il finanziamento pubblico garantisce soltanto l'11,3% delle risorse per gli investimenti, 8.835 milioni su 64,2 miliardi. Sono le analisi di Blue Book, la più ampia raccolta di dati del settore curata da Anea e Utilitatis, centro di ricerca vicino alle aziende pubbliche, sulla base dei dati dei piani di ambito e della commissione di vigilanza. «Le Autorità degli ambiti affidati in house - afferma il rapporto - hanno dovuto apportare forti correzioni alle componenti tariffarie legate agli investimenti, -50,2% per gli ammortamenti e -40% per la remunerazione del capitale, mentre nel caso delle gestioni con spa miste tale variazione risulta meno accentuata (rispettivamente -13,2% e -19,6%)». In pratica, i piani di investimento sono stati rivisti al ribasso. «Tali risultati - continua il rapporto - possono essere interpretati secondo una doppia chiave di lettura, peraltro complementare: da un lato è presumibile ipotizzare che le gestioni in house abbiano incontrato i maggiori ostacoli nella ricerca del finanziamento degli investimenti, dall'altro non è da escludere che gli incentivi ad investire (oppure i disincentivi contro il 'non fare', nel caso in cui si raggiungano gli obiettivi di investimento prefissati nel piano di ambito) siano più efficaci nel caso delle spa miste». Il Conviri nella sua relazione al Parlamento fa anche notare che la realizzazione degli investimenti non supera il 56% di quanto pianificato e che questo risultato si ferma al 36% quando a finanziare l'opera è il Tesoro, sempre più restio a finanziare infrastrutture pubbliche, soprattutto se sarebbero finanziabili dal sistema privato.

Uno degli ultimi atti di Passino al Conviri è stato proprio lo sblocco della convenzione con l'Abi per migliorare le modalità di finanziamento dei piani di ambito da parte del sistema bancario. Senza maggiori garanzie che una parte del cash flow vada al servizio del debito, difficile vincere le perplessità degli istituti di credito.

Altro fronte scottante il rapporto con gli utenti. La qualità del servizio idrico per gli utenti resta scadente al punto che il Conviri ha messo a punto un elenco di indicatori gestionali da far rispettare ai gestori pubblici e privati. L'asimmetria informativa tra gestori, regolatori e utenti è enorme indipendentemente dal tipo di gestore e resta carente il quadro informativo nazionale. Non sono stati introdotti meccanismi di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali che pure erano previsti dalla direttiva Ue 2000/60.

A giorni arriverà la nuova Agenzia di vigilanza dell'acqua, prevista dal decreto legge per lo sviluppo con compiti sulle tariffe e sulla qualità del servizio, e sarà un banco di prova anche per il Governo per capire se sia il primo tassello di una politica dell'acqua in Italia o solo una risposta tardiva ai referendum. L'esigenza di un rafforzamento della regolazione è avvertito da tempo e molti chiedono che l'Agenzia diventi una vera Autorità indipendente. Una strada su cui il Governo non vuole andare, per contenere i costi di funzionamento, ma già le nomine saranno un banco di prova per capire quale sarà il livello di indipendenza e di competenza della nuova struttura.
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