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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 09:34.

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ROMA - All'astensione sembrano credere in pochi, anche se nella maggioranza si continua ad auspicare un tale esito. Sempre più robusto lo schieramento di chi, anche nella maggioranza, pronostica una sicura vittoria del sì: anche la possibilità del Governo di varare un piano energetico che possa tenere in qualche modo aperta la strada a un prossimo ritorno dell'Italia l'energia atomica sarà momentaneamente cancellato.

Momentaneamente, ben inteso. Perché, come noto, si potrà ri-legiferare rapidamente per tentare di riaprire giochi, anche se con l'indubbio ostacolo del segnale politico (e sociale) che dovesse scaturire dal referendum. Tant'è che perfino l'ala iper-nuclearista della politica italiana, che ruota attorno al Pdl, si sta sfilacciando di ora in ora. Significativa l'indicazione elettorale ormai ufficiale del partito del premier: preferibilmente l'astensione, altrimenti libertà di coscienza (in piena contraddizione con quel che si andava professando fino a qualche settimana fa).

Del resto non mancano e anzi crescono gli autorevoli esponenti del Pdl che fanno esplicita propaganda della loro partecipazione al referendum e del loro voto per il sì accanto ai più rudi nemici dell'atomo. Che dire del governatore della Sardegna, Ugo Castellacci, piazzato direttamente dal premier Berlusconi. E che dire della sua pupilla a capo del Lazio, Renata Polverini, che ieri ha voluto rimarcare come il voto sia segreto «ma sul nucleare posso dire che andrò a votare e voterò un sì convinto».

Gli analisti di cose politiche sono un po' sconcertati. Quelli che si interessano delle conseguenze tecniche lo sono ancor di più. Ed ecco che si ragiona sul dopo. E il dopo non si presenta bene, almeno a dar retta a uno degli uomini di Governo tecnicamente più preparati, per esplicito riconoscimento anche dei suoi avversari politici.

Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico, avverte: l'abbandono europeo del nucleare potrà avere qualche effetto tranquillizzante, visto che gli stress test già disposti dalla Ue dovranno scandagliare anche i 26 reattori che l'Italia ha nel raggio di 200 km dai suoi confini. Ma gli sconquassi sul sistema energetico europeo e anche italiano non mancheranno, e saranno presto visibili, avverte Saglia dal Lussemburgo dove è volato per il Consiglio europeo sull'energia. Se è vero che l'energia di tutta Europa si sta evolvendo verso sistema integrato e interconnesso la decisione della Germania di spegnere progressivamente ma fin d'ora le sue centrali nucleari entro un decennio «creerà problemi per tutta l'Europa, perché le reti elettriche continentali - spiega Saglia - non sono pronte a reggere l'impatto». Il sottosegretario si riferisce al più che prevedibile ricorso ciclico dei tedeschi all'import di energia dagli altri paesi, in attesa di assestare la struttura di produzione elettrica del paese. E quando l'assesterà - fanno rilevare gli esperti - i guai per tutti potrebbero essere ancora maggiori. Perché la Germania spingerà sulle sue già robuste energie verdi, che però in termini percentuali non potranno certo correre per coprire ciò che mancherà dal nucleare. Dunque non potrà far altro che incrementare la sua già cospicua produzione elettrica da carbone, o peggio dalle sue vecchie centrali a lignite, le più inquinanti del mondo. Peggio ancora: tutto ciò obbligherà la Germania ad acquistare quote di diritti di emissione di CO2, con un'inevitabile impatto negativo sui prezzi dei diritti e sul tetto cumulativo assegnato all'Europa, con oneri aggiuntivi che potrebbero comportare aggravi anche per noi.

Effetti boomerang dell'abbandono nucleare? Comunque si giudichi l'atomo è proprio così. Il tutto con vistose asimmetrie di comportamento, di privilegi, di rischi.

Prendiamo la Francia, con il suo 85% di ricorso all'atomo per produrre elettricità. Lo sa anche un bambino che l'abbandono del nucleare per il paese d'oltralpe non è neanche lontanamente ipotizzabile. Se ne fa interprete Francois Hollande, uno dei favoriti per la candidatura socialista alla corsa presidenziale del 2012, che propone, e ciò è già un azzardo, di «ridurre al 50% la produzione di elettricità di origine nucleare entro 2025» chiudendo semplicemente le centrali già a fine vita senza sostituirle, e aumentando di molto le rinnovabili con un parallelo incremento dell'efficienza energetica del paese, che su questo versante è più indietro di noi proprio perché si è adagiato sulla sovrabbondanza dell'energia nucleare.

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