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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2011 alle ore 17:47.

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Nulla da smantellare e nulla di nuovo da chiudere, a parte le vecchie centrali già dismesse con il precedente referendum antiatomo del 1987. Centrali che sono ancora lì, addormentate ma ancora dotate di gran parte delle vecchie strutture che non riusciamo ancora a smantellare nonostante i fiumi di denari spesi in 25 anni di "missione". Magra consolazione dopo l'esito dell'ultimo referendum che chiude la porta al nuovo piano di ritorno all'atomo.

Il problema imminente, quello vero, non è meno imbarazzante. Il sì referendario ha prodotto un curioso effetto collaterale. Abrogando (per il momento) la possibilità che il Governo ci riprovi con l'atomo, si è abrogato anche l'obbligo di assolvere al grande impegno pluridecennale da tutti auspicato, a destra come a sinistra: l'allestimento entro un anno al massimo del Piano Energetico Nazionale che dia finalmente un equilibrio coerente e a lungo termine ai sussidi per le rinnovabili, al potenziamento delle infrastrutture energetiche, alla promozione della ricerca di settore, alla creazione di un vero mercato dei prodotti e dei servizi energetici.

Cercasi Piano energetico disperatamente, ammoniva solo qualche settimana fa Il Sole 24 Ore. Grande inadempienza della politica, si disse. Un barlume di Piano in effetti c'era. Era nella legge appena abrogata. Rifarne un'altra è ora un obbligo, della massima urgenza.

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