Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2011 alle ore 08:34.
L'ultima modifica è del 13 luglio 2011 alle ore 08:47.

My24

La manovra economica è ormai un argomento chiuso. Viene approvata entro poche ore dalle due Camere: senza il voto delle opposizioni, ma senza ostruzionismo. Alcuni emendamenti vengono anzi recepiti. È un successo del presidente della Repubblica, un segno visibile del ruolo che Napolitano ha svolto sul palcoscenico politico in una settimana drammatica.

Le notizie positive possiamo elencarle così. Sul piano istituzionale, per la prima volta, la coesione invocata dal capo dello Stato ha dato un risultato abbastanza significativo. Ciò vuol dire che il Quirinale resta in questo frangente un saldo riferimento: aiuta a rassicurare l'opinione pubblica disorientata e trasmette all'esterno, in Europa, un'immagine credibile.
Secondo, l'approvazione fulminea del decreto dimostra che le forze politiche si sono piegate al realismo. Un fatto senza precedenti. La manovra andrebbe resa più incisiva, ma ottiene il suo obiettivo: il pareggio di bilancio, sia pure nel 2014. Quindi è utile per scoraggiare la speculazione. Quanto meno, va in quella direzione.

Terzo punto, la bufera sui mercati ha concesso ieri una tregua all'Italia. La forbice del fatidico 'spread' si è finalmente ristretta rispetto ai record delle ultime sedute. La borsa di Milano è collassata, ma poi si è ripresa. Le ragioni di tutto questo sono complesse e solo in parte riconducibili alle buone intenzioni dei politici. Ma tant'è, qualcuno ragiona come se il peggio fosse passato. In realtà, non è così. La fragilità del sistema politico non è stata superata. La «coesione nazionale», se davvero esiste, avrebbe bisogno di dare ben altri frutti a breve scadenza. Nei prossimi giorni gli attacchi finanziari all'Italia potrebbero riprendere, perché i problemi di fondo sono ancora tutti lì, sotto gli occhi dei mercati.

Si era detto del silenzio di Berlusconi, della curiosa assenza del leader nelle ore cruciali (al punto, come ha rilevato Prodi, di aver taciuto anche sulla telefonata domenicale con Angela Merkel). Ieri il premier ha capito di dover dire qualcosa. Purtroppo però la sua dichiarazione scritta è apparsa alquanto priva del «pathos» che sarebbe necessario in questi casi. Il suo appello a «restare uniti» assomiglia nel tono a certi discorsi rivolti al gruppo dei Responsabili. Non si avverte nelle sue parole la drammaticità dell'ora e la forza della leadership. È come se dicesse all'opposizione: se volete, aggregatevi pure alla mia maggioranza; se non volete, io sono in grado di andare avanti da solo, benchè il momento sia difficile.

Berlusconi non poteva continuare a tacere, nel giorno in cui si annunciava l'accordo sulla manovra. Ma resta arroccato in difesa. È evidente che alla lunga il tema della coesione nazionale lo insospettisce. L'insistenza con cui il Pd (vedi D'Alema) gli chiede di dimettersi subito dopo il voto del Parlamento, non gli sembra solo una posizione di bandiera. Dietro una richiesta in sé irricevibile, il premier vede un'operazione in corso per arrivare a quella sorta di governo tecnico di cui sono piene le cronache. Con nomi e cognomi di possibili protagonisti.
E forse non è un caso che proprio Romano Prodi si sia pronunciato in forma molto esplicita contro qualsiasi ipotesi di «governissimo». Prodi preferisce parlare di «tregua» nonché - vedi l'intervista al Sole - di un accordo a tre fra governo, opposizione e Banca d'Italia sugli interventi urgenti. Ma ognuno nel proprio ruolo. Una linea diversa da quella espressa dal vertice del Pd.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi