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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2011 alle ore 06:41.

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Alla fine sarà un sì nonostante gli altolà e pure i dissidenti come Roberto Castelli. La Lega continua nella sua strategia di appeasement e con Roberto Calderoli annuncia il suo voto a favore sulle missioni all'estero. Certo, in larga parte quel «sì» risponde all'esigenza di non creare altri casi nella maggioranza e nel Governo, ma c'è anche la circostanza dell'oggi a costringere verso quella scelta.

La morte del nostro soldato David Tobini di 28 anni – 41esima vittima in Afghanistan – rende più che inopportuna qualsiasi propaganda leghista sulle missioni e doverso un sostegno al di là dei dubbi personali. Dunque, ieri il Carroccio ha parlato con le parole del ministro Calderoli – «Non condivido ma voterò sì» – per definire una posizione ancora in sospeso. E la sua dichiarazione rende esplicita e definitiva la linea del Carroccio su un voto che aveva di nuovo alimentato voci di tensioni con il Pdl e diffidenze in Silvio Berlusconi.

Un sì "padano" condizionato «alla definizione di una exit strategy» anche perché nella base continua il malumore per i vari fronti di guerra. È in questa chiave che va letta la dichiarazione di dissenso di Luca Zaia, Governatore del Veneto: «Dobbiamo riportare a casa i nostri ragazzi». Ma votare «sì» è soprattutto un atto di coerenza visto il voto a favore che i ministri lghisti diedero sul Ddl a uno degli ultimi consigli dei ministri dove incassarono anche una riduzione dei costi delle missioni. E infatti il ministro Calderoli lo ricorda: «Abbiamo ottenuto il rientro di almeno 2.070 nostri militari già entro la fine di quest'anno, una riduzione degli stanziamenti per le missioni internazionali e la definizione della durata della missione in Libia e quindi, proprio per questo – e per senso di responsabilità – rivoterò il decreto di rifinanziamento delle missioni militari».

Non ci sarà quindi suspense nel voto di oggi (o più probabile domani) al Senato nè sono previsti altri dissidenti oltre il sottosegretario Roberto Castelli che ha spiegato con una lettera le sue ragioni e che non sarà presente durante le votazioni. A rassicurare ancora è Massimo Garavaglia, senatore di spicco a Palzzo Madama per la sua vicinanza a Roberto Maroni: «La posizione di Calderoli è quella della Lega. Del resto non mi pare si possa fare altrimenti: nel decreto è previsto il rientro di più di 2mila nostri militari né possiamo lasciare senza finanziamenti quelli che restano. Questo, però, non vuol dire che serva una riflessione politica su ciò che sta accadendo in Afghanistan vista l'escalation di morti». Stesso film dovrebbe andare in onda alla Camera la prossima settimana quando il testo approderà a Montecitorio. Anche perché lì il gruppo segue ormai la linea di Roberto Maroni che (anche per il suo ruolo di ministro dell'Interno) è sempre stato attento a non eccedere nella propaganda e a mantenere un profilo istituzionale sia rispetto agli impegni internazionali sia rispetto al Quirinale.

Se le missioni danno ancora boccate d'ossigeno alla maggioranza e al premier, nella Lega il malcontento resta. E resta soprattutto l'attesa per capire quale strategia seguirà Umberto Bossi sia nei rapporti con il Cavaliere sia sulle divisioni interne al suo partito. Venerdì è convocato un consiglio federale – il più alto organismo del partito di cui fa parte lo stato maggiore – che dovrebbe mettere a fuoco questi temi, soprattutto riguardo alla giustizia dove sembra crescano i malumori del Carroccio per il provvedimento sul processo lungo. E quella sarà anche la prima sede politica e ufficiale in cui si vedrà se la vicinanza tra Bossi e Maroni assumerà la solidità e la consistenza di un tandem politico. Le ultime decisioni su Papa – e anche le dichiarazioni di Bossi del'altroieri – hanno visto un Senatur molto vicino al ministro ma questo non vuol dire che il cerchio magico si senta sconfitto. Anzi. L'altra sera a Lezzeno, alla festa del Carroccio, un senatore del cerchio magico ha imposto di togliere uno striscione in cui si sosteneva l'asse Bossi-Giorgetti.

La maggioranza passerà così indenne quest'altro giro di boa: il sì della Lega impedirà che il decreto possa passare con l'aiuto dell'opposizione, un fatto che avrebbe dato l'ennesimo scossone a Berlusconi. Sulla trincea del «no» alle missioni resta invece Antonio Di Pietro.

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