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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 13:42.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2011 alle ore 08:10.

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E alla fine l'Italia ha dovuto cedere. Ha ammesso che ciò che aveva fatto non bastava e si è impegnata ad una serie di misure, tra le quali in primo luogo l'anticipo dal 2014 al 2013 dell'azzeramento del disavanzo annuale. Vedremo domani se i mercati saranno soddisfatti.

Prevedibilmente dovrebbe esserlo la Banca Centrale Europea, la vera destinataria dell'annuncio straordinario del nostro Governo, perché era questa la condizione che essa aveva posto esplicitamente per stabilizzare con i suoi acquisti un mercato secondario nel quale i nostri titoli, oggetto da giorni esclusivamente di vendite, sono gravati da uno spread sempre più penalizzante.

Si apre per noi un passaggio cruciale e ci sarà tempo per valutarne tutti i risvolti, a partire da quelli delle misure promesse, che per ora, appunto, sono soltanto promesse. Tale è infatti lo stesso azzeramento del disavanzo annuale, affidato al reperimento di non meno 20 miliardi, che dovrebbero venire da una riforma (tutta da fare) dell'assistenza sociale, ovvero, nel caso la riforma non ci fosse, da un taglio massiccio delle detrazioni e quindi da un incremento del carico fiscale per i contribuenti di ogni ceto sociale.

Ciò che qui vorrei mettere in evidenza è che, quando qualcuno scriverà un giorno la storia di questa tormentosissima crisi, la nostra vicenda di oggi sarà una fra le molteplici testimonianze di una tempesta quasi perfetta, alimentata dallo specchiarsi reciproco di un fallimento del mercato e di un quasi fallimentare arrancare degli Stati e delle istituzioni pubbliche a caccia di pezze tardive.

Che il mercato manchi, al suo interno, degli antidoti necessari a contrastare le incursioni speculative e gli effetti a raggiera delle ondate di panico che lo attraversano non ha bisogno di essere dimostrato. Caso mai dovremmo sforzarci di capire di più che cosa innesca e soprattutto moltiplica queste ondate, in un mondo nel quale l'informazione raggiunge non più i soli addetti ai lavori, ma chiunque. Con l'effetto che anche chi è fuori delle borse viene indotto, da consumatore, a comportamenti che amplificano gli effetti negativi degli andamenti di borsa.

Ciò rende ancora più elevate, e ancora più difficili da esercitare, le responsabilità di coloro ai quali ci si rivolge per attivare gli antidoti, vale a dire gli Stati e le istituzioni pubbliche. Ma è proprio qui che ci accorgiamo di quanto essi siano carenti, tanto più carenti davanti a un mercato ormai globale che li rende interdipendenti l'uno dall'altro e che può esserne disciplinato o quanto meno orientato solo se sono orientati essi stessi da fini e interessi comuni.

Sarebbe ingeneroso dire che non ci si sia impegnati in questa direzione, dando vita fra l'altro a istituzioni sovranazionali e multinazionali, che concorrono ormai quotidianamente alle risposte fornite ai mercati. Ma i motori principali di queste risposte continuano ad essere le politiche interne degli Stati ed è qui la ragione prima della loro debolezza. Fareed Zakaria ci racconta nel suo ultimo editoriale su Time magazine il "disastro" politico dell'accordo faticosamente raggiunto sul tetto del debito americano.

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