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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2011 alle ore 10:23.

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Tra oggi e comunque prima di Ferragosto (in modo da presentare l'emittente-Italia nelle condizioni più accettabili possibili alla riapertura dei mercati) il Governo ‐ se riuscirà a superare le sue divisioni interne - metterà nero su bianco il decreto che ristruttura la manovra da 48 miliardi, insufficiente, approvata dal Parlamento a metà luglio.

Ieri l'attesa riunione in Parlamento delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio di Senato e Camera, formalmente convocata sul tema della riscrittura dell'articolo 81 della Costituzione, si è focalizzata non tanto sul punto all'ordine del giorno quanto sulle informazioni che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha reso sui contenuti del piano del Governo volto ad anticipare di un anno, dal 2014 al 2013, l'ormai famoso pareggio di bilancio.

Una mossa, quella del pareggio anticipato, suggerita a viva forza, per iscritto, dalla Banca centrale europea, resasi disponibile a sostenere gli acquisti dei nostri titoli di Stato ma decisa a non accontentarsi di una politica di soli annunci e ferma (come dimostra il suo Bollettino diffuso ieri) nel ricordarci 'l'eccezione' di un Paese che fatica più degli altri a crescere.
«Faremo tutto, presto e bene», aveva detto il premier Silvio Berlusconi al termine del vertice di mercoledì con le parti sociali. Siamo alla svolta? Ne sappiamo qualcosa di più, dopo il confronto tra Tremonti e tutti i leader dei partiti rappresentati in Parlamento? Sì e no, come vedremo, soprattutto per i no posti dalla Lega. E con un'avvertenza di metodo generale, che in parte spiega la grande confusione di questi giorni. La debole Italia, anche in termini di leadership politica, si specchia in una debole e confusa Europa, dove nel silenzio della Commissione (e i ritardi sul piano salva-Stati, con l'asse portante franco-tedesco a sua volta pesantemente attenzionato dai mercati), s'alza forte la voce del 'braccio' monetario, la Bce, la cui missione fondamentale è la stabilità dei prezzi. A conferma che all'unione monetaria corrisponde un'incompiuta unione politica, con tutto ciò che ne consegue in termini di governance (in Europa non si sa chi comanda, ha tagliato corto nei giorni scorsi l'ex presidente della Commissione Romano Prodi) e bilanciamento dei poteri.

«Tutto, presto e bene», aveva detto Berlusconi. Sul «presto», tenuto conto che i mercati non vanno in ferie e che siamo giunti a un tornante tra i più difficili della storia italiana, c'è ormai poco da dire. Prima il Governo si muove meglio è. A parlare deve essere un decreto che dovrà essere subito presentato in Parlamento e alle parti sociali. Camera e Senato devono a loro volta rivedere le loro agende e riaprire tutte le porte (non solo di qualche commissione) dopo Ferragosto. All'inizio di settembre almeno un ramo del Parlamento (si partirà dal Senato) deve approvare il decreto. È l'unica strada da battere, anche per recuperare almeno un po' della credibilità perduta agli occhi dei cittadini-elettori che si troveranno presto di fronte a tagli e sacrifici.

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