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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2011 alle ore 10:23.

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Sul «tutto» è comprensibile che, a mercati aperti e prima del vertice al Quirinale con il presidente Giorgio Napolitano e il premier Berlusconi, Tremonti abbia misurato parole e annunci. Così come è intuibile che le difficoltà interne alla maggioranza (a partire dalla posizione della Lega e dai malumori nei suoi confronti di nuovo affiorati prepotenti nel Pdl) abbiano convinto il ministro a volare basso. A tal punto, però, da spingere l'alleato e collega ministro Umberto Bossi a parlare di un intervento «fumoso» e che non l'ha «convinto». Sulle pensioni «si rischia la crisi», ha spiegato in serata alzando la posta. Un veto pesante.

Lo spettacolo, nel complesso, non è stato esaltante, con la lettera del presidente della Bce Jean-Claude Trichet definita da Tremonti «confidenziale» ma tuttavia citata in parte e non senza malizia e un ministro (Bossi) che ha accusato il governatore Mario Draghi (presidente designato della Bce) di essere l'autore vero della missiva recapitata da Francoforte. Battute risentite e giudizi urticanti incrociati (tra Tremonti e Bocchino del Fli, tra Tremonti e il leader dell'Udc Casini) hanno fatto il resto.

Tremonti ha confermato i progetti di revisione costituzionale degli articoli 41 e 81 sulla libertà d'impresa e l'obbligo del pareggio di bilancio (direzione giusta, ma nulla di operativo subito). Ha parlato di «ristrutturazione» della manovra e non più di solo «anticipo» delle misure già in calendario, ma non ha precisato né l'entità definitiva dell'aggiustamento per il 2012 (che sulla carta resta attestato intorno ai 25 miliardi, dobbiamo portare il rapporto deficit/Pil dal 3,8% verso quell'1% chiesto dalla Bce, ipotesi definita «recessiva») né l'elenco dei provvedimenti più caldi, tipo la rimodulazione dell'Iva per favorire il taglio del carico fiscale e contributivo che grava sul lavoro. Sembrano esclusi due punti richiamati dalla Bce (sui licenziamenti e la riduzione dei salari dell'impiego pubblico), è scontata l'armonizzazione al 20% del trattamento fiscale sulle rendite finanziarie (titoli di Stato esclusi). Restano in piedi le ipotesi sul blocco delle pensioni di anzianità e l'aumento dell'età pensionabile per le donne del settore privato, le liberalizzazioni e le privatizzazioni per le professioni ed i servizi pubblici locali, si profila un «contributo di solidarietà» e l'accorpamento sulla domenica delle festività infrasettimanali (tranne le ricorrenze religiose), nuove misure sul fronte della lotta all'evasione e una tracciabilità più stretta per le spese in contanti. Si prospetta, per la riduzione dei costi della politica, qualche sforzo in più dopo i clamorosi rinvii delle scorse settimane.

Dopo «tutto e presto» il «bene». Dipende dalla qualità del compromesso con la Lega e da come il Governo calibrerà i pesi della manovra, tra rigore (manovra sulle pensioni in prima battuta) ed equità. E dipende da come verrà o no spianata la strada per la crescita, un'altra incompiuta italiana. Infine l'opposizione: come giocherà la sua partita nell'interesse del Paese? Ieri, come detto, lo spettacolo non è stato esaltante. Tremonti ha detto che il decreto sarà «discutibile» ma non ha certo dato la sensazione di uscire dal bunker delle sue convinzioni. Poteva aprire di più la porta. Casini ha snocciolato una serie di proposte con al centro l'idea del quoziente familiare. Lo stesso leader del Pd Pier Luigi Bersani si è detto pronto al confronto e ha invitato a decidere subito. Al Governo «non tremi il polso», ha scandito. Forse l'unico momento di pathos per un decreto in pieno agosto destinato, in un modo o nell'altro, a fare storia.

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