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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2011 alle ore 14:20.
L'ultima modifica è del 14 agosto 2011 alle ore 18:00.

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di Gianni Trovati
La «fronda» all'interno del Pdl è già venuta allo scoperto, e nel giro di poche ore ha reclutato cinque esponenti fra i quali anche un ex ministro, Antonio Martino, ma può contare anche su elementi "esterni" di grosso calibro. Un nome su tutti: Silvio Berlusconi, a cui il contributo di solidarietà, soprattutto nella sua versione triennale, continua a non andare giù. Per la manovra bis, insomma, dal 22 agosto si profila una navigazione parlamentare travagliata.

«Non si può rivoltarla come un calzino», ha fatto sapere Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, che però definisce la manovra «aperta»; è «modificabile ma a saldi invariati» secondo il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. «Il testo della manovra può essere modificato - ha precisato Calderoli - ma non può essere smontato perché se questo dovesse accadere si rischierebbe il default economico del Paese».

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La manovra è «dolorosa ma perfettibile» secondo il titolare della Difesa, Ignazio La Russa, mentre il ministro dell'Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi chiede al Governo di «non chiudersi a riccio». Più esplicito Osvaldo Napoli, presidente facente funzioni dell'Anci e fedelissimo di Berlusconi: «Misure come il contributo di solidarietà vanno abolite».

E proprio la super-Irpef sui redditi alti sembra capeggiare il pacchetto di norme a rischio nel passaggio parlamentare. Già faceva «grondare di sangue il cuore» del premier quando sembrava biennale, e la sua triennalizzazione con partenza immediata dal 2011 è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Nel mirino di parti della maggioranza ci sono anche i maxi-tagli ai bilanci di Regioni ed enti locali. Per Flavio Tosi, sindaco di Verona e leader per popolarità tra i primi cittadini del centro-destra, sono tagli che «avrebbe saputo fare anche un bambino», per Gianni Alemanno, che oltre a essere sindaco di Roma è presidente del Consiglio nazionale dell'Anci, sono «colpi alla spesa sociale». Le munizioni, insomma, ci sono tutte, e l'inizio della battaglia interna al centro-destra è solo questione di calendario.

Anche la sforbiciata ai costi della politica, per un'ovvia ragione geografica, picchia più duro a Nord, dove si concentrano i piccoli Comuni ma anche la classe dirigente territoriale del Carroccio. Chi amministra sa bene che la cancellazione di giunte e consigli produce risparmi ultra-leggeri, mentre la gestione associata delle funzioni accelerata dalla manovra, così com'è, è ben complicata da attuare.

Se i temi sensibili alla Lega fanno male a Nord, a Roma e al Centro-Sud è la nuova minaccia sui dipendenti statali a far male a settori importanti dell'elettorato di centro-destra. In particolare, a far storcere il naso (per usare un eufemismo) è l'idea di bloccare gli «emolumenti» dei dipendenti pubblici se i ministeri non riusciranno a centrare gli obiettivi di risparmio: il meccanismo applicativo è ancora tutto da disegnare, ma sarebbe paradossale che lo stesso ministro incapace di rispettare gli obiettivi imponesse al proprio personale una sospensione dello stipendio per ripianare i conti.

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