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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2011 alle ore 19:40.

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Chi si aspetta clamorose novità dall'incontro di martedì pomeriggio a Parigi tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel è quasi certamente destinato a rimanere deluso. Salvo sorprese, dal vertice uscirà il ribadito, solenne impegno dei due leader, dei due Paesi, a lavorare insieme per dare alla zona euro un sistema di governance rafforzato. Perché ci sia sempre più cooperazione e omogeneità nelle politiche fiscali. Perché ci sia una maggiore possibilità di supervisione, controllo e anche sanzione a livello centrale. Perché la cultura virtuosa della stabilità, del rigore nella gestione dei conti pubblici, sia effettivamente appannaggio di tutti.

Forse si arriverà ad annunciare la proposta congiunta di organizzare summit periodici dei capi di Stato e di Governo dei Paesi dell'Eurozona. Di concreto, nient'altro. Le ragioni sono almeno due. La prima, più congiunturale, è che Berlino non vuol dare l'impressione di agire precipitosamente sotto la pressione dei mercati e intende rispettare il calendario deciso in occasione del vertice del 21 luglio a Bruxelles. In quel frangente si affidò infatti al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy l'incarico di preparare un rapporto sulle modalità di rafforzamento della governance economica dell'area a moneta unica da presentare entro ottobre. Francia e Germania, dal canto loro, si impegnarono a formulare entro fine agosto delle proposte da trasferire allo stesso Van Rompuy.

Se inoltre è evidente che l'Europa, e a maggior ragione l'Eurozona, si basa sul diumvirato franco-tedesco, ci sono regole di convenienza, o quantomeno di buona educazione, che impongono un minimo di dibattito e di confronto multipolare prima di annunciare iniziative dettagliate che vanno inevitabilmente a incidere sulla sovranità dei vari Paesi. A cominciare dall'ipotesi di avere un ministro delle Finanze europeo, una sorta di segretario al Tesoro dei nascenti Stati Uniti d'Europa. La seconda ragione attiene al diverso contesto politico e sociale in cui si muovono i due leader. Sarkozy vuole assolutamente arrivare alle elezioni presidenziali della primavera 2012 come il salvatore dell'euro, l'eroe anti-crisi, il campione di un'Europa più unita, più compatta, più determinata nell'adottare politiche di rigore nella gestione dei conti pubblici ma anche di sostegno alla crescita. Un'Europa più efficace e solidale. Più efficace perché solidale. E può contare su un sistema presidenziale in cui il Parlamento è ridotto a passacarte.

La Merkel non ha appuntamenti elettorali alle porte (le politiche sono nel 2013), ma deve fare i conti con le resistenze di una parte consistente del proprio partito e soprattutto della Csu. Ma anche con quelle di un'opinione pubblica diffidente, se non apertamente ostile, rispetto alla prospettiva di sacrificare i risultati delle proprie virtù di formica sull'altare della solidarietà con i Paesi cicala. Una Germania ancor più diluita nell'Europa non piace. Non piace per esempio a quel 60% di tedeschi che in un recente sondaggio hanno messo in testa ai propri timori un aumento del debito pubblico.

D'altronde, anche solo nel confronto tra Parigi e Berlino, i numeri parlano chiaro: Parigi chiuderà il 2011 con un deficit primario del 3,1%, Berlino con un avanzo dello 0,4 per cento. Tipico esempio molto concreto di questa diversità di approccio, di sensibilità, di condizione oggettiva sono gli Eurobond. Sarkozy insiste da tempo sull'opportunità di creare delle obbligazioni europee, mentre la Merkel frena su uno strumento che ai suoi occhi rappresenta in sostanza una "mutualizzazione" dei rischi destinata a indebolire la Germania dei super-bund. E ritiene di aver già buttato il cuore molto oltre l'ostacolo dando il via libera a una configurazione dell'Efsf, il Fondo di stabilità, che lo fa assomigliare sempre di più a un vero e proprio Fondo monetario europeo in fasce.

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