Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2011 alle ore 19:03.

My24

di Dario Pellizzari

C'è che da qualche tempo tra i presidenti delle società di calcio della serie A e l'associazione che difende i diritti dei calciatori non corre buon sangue. Colpa di un paio di articoli del nuovo contratto collettivo che regolamenta i rapporti tra le due parti. L'accordo è scaduto da oltre un anno e pare sia difficilissimo da rinnovare. Perché i presidenti tirano da una parte e i calciatori dall'altra.

Due le ragioni del contendere. La prima riguarda l'interpretazione dell'articolo 7, che definisce i diritti e i doveri del giocatore alle prese con un contenzioso più o meno evidente con la società. L'altra è recente ed interessa la copertura del cosidetto contributo di solidarietà, in questi giorni in discussione negli uffici della commissione Bilancio del Senato.

Allenamento sì, allenamento no, allenamento forse. I calciatori sostengono che gli atleti tesserati abbiano il diritto di continuare ad allenarsi con il resto della squadra sempre e comunque, finché non scade il contratto che li lega alle società di appartenenza. I presidenti dicono invece che se decidono di mettere fuori rosa un giocatore non si può pensare che lo stesso abbia la possibilità di fare ciò che faceva prima, quindi anche sgambettare con i compagni e partecipare alle sedute tecniche previste dal mister. Perché altrimenti va a farsi benedire il margine di movimento a discrezione della proprietà che, tra l'altro, non può più fare "pressione" sul calciatore affinché decida di cambiare aria e di rinfrescare le casse della società. L'Assocalciatori ha fatto capire che tale comportamento va inserito nella categoria "mobbing" e che proprio non può essere accettato. Per nessuna ragione. Amen, questo è il tema portante dell'articolo 7 di cui sentire parlare da tempo. Qui il confronto serrato tra le due parti non ha portato per il momento ad una pacifica conclusione.

Secondo il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, "il campionato italiano non ha mai vissuto da vicino episodi di forzata interpretazione dell'articolo 7 da parte delle società. Certo, a parte forse il caso Pandev alla Lazio". Ultimi sussulti della stagione 2008-09. Il macedone vuole lasciare il club di Lotito, ma il presidentissimo non gradisce. E mette fuori rosa il proprio attaccante. Pandev chiede aiuto al Collegio arbitrale, che gli dà ragione e costringe Lotito a chiudere la pratica.

Se l'accordo non passasse, potrebbe accadere ancora? Quali sono i calciatori che rischierebbero di veder compromessi i propri diritti se non accettassero di sottostare ai "caldi consigli" della società di appartenenza? Qualche nome, giusto per parlare dei più noti. Grosso e Amauri della Juventus, ad esempio, che hanno rifiutato finora diverse destinazioni. E che, col tempo, potrebbero rappresentare un peso non indifferente per la squadra di Conte. Tuttavia, si tratta comunque, è bene dirlo, di pure supposizioni. Perché, come ha già detto Abete, "non è mai successo nulla di simile, Pandev a parte". Forse varrebbe la pena di ricordare i casi recentissimi di Marchetti al Cagliari e di Mutu alla Fiorentina. Approcci diversi per finali simili.

L'altro motivo di scontro tra la Lega di serie A e l'Assocalciatori guidata da Damiano Tommasi segue la cronaca politica degli ultimi giorni. A Ferragosto, il Governo ha fatto sapere che nella nuova manovra per recuperare in tutta fretta i quattrini che sono necessari per non finire in bancarotta, c'è anche un capitolo che prevede il pagamento di una "SuperIrpef" (leggasi "contributo di solidarietà") per tutti coloro che hanno un reddito superiore a 150mila euro all'anno. Apriti cielo. Nel corso dell'assemblea di Lega che si è tenuta ieri a Roma, i presidenti hanno negato ogni possibilità di intervento da parte delle società: "la tassa è di esclusiva competenza dei giocatori, che la paghino come tutti", hanno fatto sapere in coro. Dall'Assocalciatori è arrivata la doccia fredda, che certo non aiuta a comprendere le ragioni dello scontro: "Ma noi non abbiamo mai detto che non abbiamo intenzione di pagare, faremo la nostra parte come sempre". Dunque, perdonate l'ardire: di cosa stiamo parlando?

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi