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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2011 alle ore 10:46.

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Ci sono due facce della Libia. Una è quella esterna, che ha sfilato nei giardini dell'Eliseo con Jalil e Jibril - la leadership di Bengasi - sottobraccio a Nicolas Sarkozy: questa Libia è un Paese ricco e vincente che davanti a delegazioni di 60 Stati ha ottenuto ieri, almeno in parte, lo scongelamento dei fondi del regime.

Un'operazione che dovrebbe accelerare all'Onu con il iconoscimento da parte della Russia del nuovo Governo provvisorio di Tripoli.
A Parigi sono stati sbloccati, secondo Sarkozy, 15 miliardi di dollari (oltre dieci miliardi di euro) a fronte di un ammontare calcolato in 50 miliardi e di un patrimonio immenso (stimato 140 miliardi di dollari) per un Paese di sei milioni di abitanti che camminano su straordinarie riserve di gas e petrolio.

La ricostruzione della Libia si annuncia come un business importante: ma lo era anche quella dell'Iraq, rivelatasi poi assai deludente. C'è però una gran voglia di stringere i tempi: il segretario generale dell'Onu Ban ki Moon annuncia un nuovo vertice internazionale sul caso libico: appuntamento a New York per il 20 di settembre. La Libia esterna preme per sistemare le cose alla svelta, forse con troppo ottimismo.
Poi c'è l'altra Libia: quella interna, dove si combatte, con un Gheddafi latitante e minaccioso e gli insorti costretti a prolungare la tregua nell'assedio alla tetragona roccaforte lealista della Sirte. Questa è la Libia che ha ancora paura, dove si regolano conti, si progettano faide e attentati.
Soprattutto è una Libia dove non si sa ancora chi comanda davvero: gli islamici radicali, rappresentati dal capo militare Abdul Hakim al Hasadi, sono in ascesa mentre Alamin Belhaj dei Fratelli Musulmani ammonisce «che la rivoluzione non sarà confiscata dai secolaristi».

Il presidente del Cnt Mustafa Jalil assicura qui a Parigi che i libici sono musulmani moderati: «Dateci fiducia - è il suo appello - siamo dalla parte giusta». E la Nato annuncia, a Parigi, che i raid andranno avanti finché Gheddafi costituirà un pericolo.
Ma gli interrogativi sul futuro si fanno ancora più pressanti quando il portavoce del Cnt, Mhamoud Shamman, dichiara, ai margini della conferenza, che i componenti del Consiglio transitorio non si candideranno nei prossimi quattro anni a cariche politiche.
Sarkozy e i suoi alleati della Nato non possono annunciare la vittoria e la fine della guerra ma il presidente francese gonfia ugualmente il petto: «Esattamente un anno fa, il primo settembre - dice - Gheddafi a Tripoli celebrava i suoi 41 anni al potere oggi si nasconde ed è un dittatore finito».

Ha vinto una scommessa forse per provare a vincerne un'altra: la rielezione, la prossima primavera, all'Eliseo. Ma forse per lui i sondaggi sullo stato dell'economia saranno più importanti di quelli sulla Libia. Su quella che lui ha chiamato ieri la frontiera mediterranea è riuscito comunque a prendere la guida di un'Europa esitante, costruendo un asse con la Gran Bretagna di David Cameron e con gli Stati Uniti, presenti a Parigi con Hillary Clinton.
E come ci sono due Libie, c'è anche un'Europa di prima fila e un'altra di seconda. La Germania, sicuramente leader incontrastata in campo economico, in politica estera con il cancelliere Angela Merkel è scivolata verso posizioni neutraliste e di disimpegno militare. Mentre l'Italia, in una rincorsa affannosa per difendere le sue posizioni storiche in Libia, tenta di difendersi come può confermando l'impegno militare nelle operazioni Nato.

Se Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno annunciato lo scongelamento di 1,5 miliardi di dollari a testa di fondi libici, anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha calato sul tavolo la sua fiche: 500 milioni di euro di depositi, che si sono materializzati con linee di credito concesse da Unicredit e Ubae. In queste due banche, una partecipata al 7,5% e l'altra a maggioranza libica, ci sono oltre 4 miliardi di liquidi. «Se l'Onu darà il via libera - ha promesso il premier - arriveranno presto altri 2 miliardi e mezzo».
Ma l'annuncio sulla Libia più significativo Berlusconi lo fa uscendo dalla conferenza: «Ci impegneremo a rimettere in funzione il Greenstream entro il 15 ottobre». Questa potrebbe essere la mossa forse di maggiore impatto per riaffermare le posizioni dell'Eni nel campo dello sfruttamento delle risorse energetiche: questa pipeline sottomarina rappresenta il cordone ombelicale che lega la Libia all'Italia, il canale diretto per la vendita del gas sul mercato europeo. Quasi una risposta alla lettera pubblicata ieri da Liberation in cui la nuova leadership libica promette alla Francia il 35% dei contratti petroliferi: a Parigi per la nuova Libia niente baci alla francese ma miliardi e oro nero.

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