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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2011 alle ore 16:41.

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I ribelli libici hanno circondato il colonnello Muammad Gheddafi ed è ormai solo questione di tempo prima che venga catturato o ucciso, afferma il portavoce delle forze armate del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Anis Sharif, citato dall'emittente degli insorti Libia Libera. «Gheddafi è intrappolato in un'area di 60 chilometri circondata dalle forze del Cnt» ha detto il portavoce, precisando che il colonnello è stato rintracciato grazie a sistemi tecnologici e al lavoro dell'intelligence. Sharif, tuttavia, non ha precisato in quale località della Libia si trovi Gheddafi.

Stamani il portavoce del rais, Moussa Ibrahim, ha riferito che il leader deposto «è ancora in Libia, è in buona salute, il suo morale è alto». Ibrahim ha quindi smentito le voci circolate ieri di una possibile fuga del colonnello in Niger a bordo di uno dei 200 veicoli che componevano il convoglio che ha trasportato oro e denaro nel Paese vicino. Gheddafi resta introvabile ma le ultime tracce portano nel sud della Libia, mentre la Nato stringe la morsa su Sirte, città natale del colonnello e uno degli ultimi bastioni dei lealisti. Secondo la tv Arrai, l'emittente vicina al regime che trasmette dalla Siria ed è l'unica ad avere ancora contatti con il rais e i suoi familiari, Gheddafi e suo figlio Seif al-islam «sono ancora in Libia e il loro morale è alto».

A sostenerlo è il propietario della tv, Mishan al-Juburi, un ex parlamentare iracheno accusato di corruzione e ricercato nel suo Paese. «Vi posso dire che ho parlato con Gheddafi molto di recente. È in Libia, il suo morale è molto alto, si sente forte, non ha paura e sarà felice di morire combattendo gli invasori». Suo figlio Seif al-Islam «è nello stesso stato d'animo» ha aggiunto al-Juburi, 54 anni. «Quando devo parlare con lui gli invio un messaggio, o è lo stesso Gheddafi a contattarmi quando ha qualcosa da dire» ha rivelato. A parte l'attendibilità delle informazioni, restano le parole del capo del Pentagono Leon Panetta, che ieri ha ammesso di sapere solo che Gheddafi è in fuga, ma di ignorare dove si possa trovare. Maggiori informazioni su Gheddafi sono forse in possesso del Consiglio nazionale transitorio (Cnt). Il rais è stato avvistato l'ultima volta sabato scorso, in un convoglio diretto nella regione meridionale di Ghwat, nel deserto, e intenderebbe fuggire in Ciad o Niger, secondo Hisham Buhagiar, il coordinatore delle ricerche. «Credo che Gheddafi abbia lasciato Bani Walid» ha riferito. Ghwat si trova 300 chilometri a nord della frontiera con il Niger.

La Nato ha bombardato pesantemente Sirte e gli ultimi raid, ha riferito l'Alleanza, hanno consentito di distruggere sei blindati e una decina di veicoli da combattimento delle forze del colonnello, oltre a diverse postazioni utilizzate dall'artiglieria. Raid aerei sono stati effettuati anche su Sebha, altra località ancora in mano ai lealisti, dove è stata distrutta una installazione di missili terra-aria. Gli aerei dell'Alleanza hanno infine distrutto tre radar e tre batterie antiaeree a Hun e altre otto a Waddan. Intanto un centro di tortura dei lealisti è stato scoperto a al-Khums, una città portuale situata un centinaio di chilometri a est di Tripoli, e nei cui pressi si estendono le rovine di Leptis Magna. Proprio le rovine romane e altri siti archeologici sono oggetto di ispezioni per verificare i danni causati dalla guerra al patrimonio culturale del Paese, che sembrano contenuti. Dalle prime ricognizioni, tre dei cinque siti principali, Sabratha, Leptis Magna e Cirene, dovrebbero essere rimasti essenzialmente intatti e potrebbero riaprire presto al pubblico.

«L'Occidente non ha nulla da temere dai combattenti libici» ha affermato il responsabile militare del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) ribelle, Abdelhakim Belhaj, sospettato di essere stato legato in passato ad Al Qaida. Intervistato dall'Agence France Presse, Belhaj ha sottolineato a
tal proposito di «aver condiviso con quella organizzazione (Al Qaida) lo stesso teatro di operazioni, l'Afghanistan, ma ciò non vuol dire che vi fossero delle affinità ideologiche»; inoltre, ha espresso la propria "riconoscenza" a tutti coloro che hanno sostenuto la causa libica, in particolare la Nato.

«Non esiste alcun paragone possibile fra la Libia e l'Iraq: in Libia non vi sono ingerenze straniere né esistono partiti etnici o confessionali in grado di alimentare gravi divergenze politiche», ha continuato Belhaj sottolineando come «non vi siano stati interventi militari diretti" e come la rivoluzione libica «risponda agli interessi del popolo», mentre nessuna sollevazione ha preceduto la caduta di Saddam Hussein. Infine, Belhaj ha scartato ogni ipotesi di un eventuale controffensiva delle forze lealiste: «Non sono più in grado di destabilizzare Tripoli, ma operazioni sporadiche non possono essere escluse».

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