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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2011 alle ore 17:52.

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La guerra libica sembrava destinata a una rapida conclusione dopo la presa di Tripoli e la ritirata delle forze lealiste nelle roccaforti di Sirte, Beni Walid e in quelle della regione desertica del Fezzan. La resistenza delle truppe fedeli al Colonnello è però tenace con addirittura qualche contrattacco segnalato sul fronte di Sirte.

I ribelli, diverse milizie divise per provenienza, appartenenza tribale o vocazione politica, non devono fare i conti solo con soldati motivati e pronti a morire ma anche con milizie tribali dei clan delle tribù Gaddafa e Warfalla, la prima è quella di appartenenza del raìs e la seconda è in buona parte legata al regime.

Nonostante il lungo tira e molla intorno alle trattative per ottenere la resa della città e la propaganda dei ribelli che tende a rappresentare una città terrorizzata dai cecchini del Colonnello, Bani Walid sembra determinata a resistere alle lusinghe e alle minacce dei ribelli forse anche a causa della rivalità tra i Warfalla e le tribù di Misurata, Zliten e della Cirenaica.

«Le tribù della città sono decise a resistere ai ribelli che sono agenti della Nato», ha ha affermato lo sceicco Ali al-Warfally nel corso di un collegamento telefonico con la tv che ha sede in Siria, "al-Rai", nota per aver trasmesso nei giorni scorsi i messaggi audio del colonnello libico Muammar Gheddafi. «Sto chiamando da Bani Walid con un telefono satellitare, sono 13 giorni che le tribù Warfalla resistono e tengono i ribelli a 20 chilometri dalla città. La resistenza - ha concluso lo sceicco - è condotta da gente dei Warfalla e non ci sono brigate di stranieri in città».

Gli insorti ammettono di aver «rinviato per ora l'assalto finale a Bani Walid» dove il portavoce del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Ahmed Bani punta il dito contro le brigate di Gheddafi. «Impiegano scudi umani e hanno posizionato delle batterie di missili sui tetti delle abitazioni civili, rendendo impossibile alle forze del Cnt e della Nato bombardare«.

Pare però che pesino anche le crescenti divisioni tra i ribelli con i combattenti locali che rifiuterebbero di obbedire agli ordini dei comandanti inviati da Bengasi cercando di muoversi per proprio conto per potersi presentare come i veri e soli liberatori della città. Nei giorni scorsi gli insorti erano penetrati vicino al centro ma di fronte alla strenua resistenza dei difensori si sarebbero poi ritirati per non rischiare di venire colpiti dalle bombe sganciate dai jet. Il segretario generale dell'Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, ha ribadito che la missione della Nato in Libia proseguirà fino a quando i civili saranno minacciati dalle forze rimaste fedeli a Muammar Gheddafi. Definizione paradossale dal momento che a Sirte e Beni Walid la popolazione sostiene il regime e non viene certi colpita dagli uomini di Gheddafi ma dai ribelli e dai velivoli della Nato.

Le truppe lealiste mostrano vivacità anche su altri fronti. Un reparto d'assalto si quattro veicoli provenienti dal Sahara ha attaccato oggi pozzi petroliferi a 20 chilometri da Ras Lanuf, obiettivo strategico e simbolico dopo che il Cnt ha annunciato che al più presto riprenderà l'export petrolifero. I ribelli lo hanno definito solo "un attacco simbolico" ma secondo l'emittente al-Alam 15 insorti sono rimasti uccisi nell'assalto che potrebbe inaugurare la nuova strategia di guerriglia delle forze lealiste. Resta infine alto il rischio che l'insurrezione contro Gheddafi sfoci in guerra civile e tribale. Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Sharq al-Awsat, ieri si è registrato ieri il primo scontro a fuoco tra fazioni dei ribelli che fanno capo al Consiglio nazionale transitorio.

Ad affrontarsi sui monti del Nefusa i ribelli dei villaggi di Gharyan e Kakla schierati contro quelli di al-Asabaa. Nei combattimenti si sono registrati 12 morti e 16 feriti. Un esponente del Cnt, contattato dallo stesso quotidiano, si è detto «molto preoccupato per l'arrivo di numerosi miliziani islamici nella capitale, che sta portando a un aumento dello scontro politico tra i liberali e gli islamici che potrebbe sfociare in uno scontro armato».

Secondo quanto riporta il giornale arabo al-Quds al-Arabi dopo la presa di Tripoli i contrasti tra i laici e gli islamici all'interno del Consiglio di Transizione hanno assunto dimensioni gravi. Secondo il giornale algerino el-Khabar le divisioni riguarderebbero le diverse tribù della Libia che «considerano Tripoli come un loro bottino sul quale mettere le mani». Sabato i siti libici denunciavano il rifiuto delle milizie di Zlitan schierate a Tripoli di consegnare le armi al Cnt e di lasciare le loro postazioni, non fidandosi di quelle delle altre zone del Paese presenti nella capitale.

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