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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2011 alle ore 12:05.

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Mikhail Khodorkovsky durante il processo. Mag 24, 2011 (AFP)Mikhail Khodorkovsky durante il processo. Mag 24, 2011 (AFP)

Per Mikhail Khodorkovskij e la sua Yukos, la compagnia petrolifera liquidata dal Governo russo nel 2006, ancora un giudizio salomonico dalla Corte europea di Strasburgo per i diritti dell'uomo, il tribunale a cui si rivolgono sempre più numerosi cittadini russi.

La Corte era stata chiamata a giudicare la legalità del percorso giudiziario con cui Yukos venne portata alla bancarotta, smembrata e venduta alla compagnia statale Rosneft, mentre Khodorkovskij e il suo partner Platon Lebedev venivano condannati per illeciti fiscali: allo Stato russo i rappresentanti di Yukos chiedono un indennizzo per danni pari a 98 miliardi di dollari, la cifra più alta mai pronunciata a Strasburgo, per "esproprio illegale".

I giudici europei hanno dato loro ragione: il Governo russo, sostiene il verdetto, ha violato i diritti della compagnia petrolifera, cui non venne dato abbastanza tempo per preparare la propria difesa, e le autorità giudiziarie non sono state equilibrate nella condanna. Ma la Corte ha recepito soltanto tre capi d'accusa su sei, e ha declinato ogni richiesta di rimborso, risparmiando alle autorità russe, oltre all'imbarazzo, il rischio di sborsare una cifra pari al doppio del budget annuo federale per la difesa.

Sarebbe stato un caso unico: il rimborso più oneroso ordinato dal Tribunale di Strasburgo a un Governo sono i 22 milioni di dollari pagati dalla Grecia nel 1994 in un caso che riguardava le raffinerie Stran Greek. Per la Russia, come per ogni Paese membro del Consiglio d'Europa, le decisioni della Corte per i diritti dell'uomo sono vincolanti.

Nel maggio scorso Khodorkovskij - destinato a restare in carcere fino al 2016 - aveva ricevuto da Strasburgo una sentenza ugualmente equidistante quando i giudici negarono che il suo arresto fosse motivato politicamente, pur registrando ripetute violazioni procedurali.

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