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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2011 alle ore 06:37.

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In effetti Mr Obama ha più di una ragione a voler alzare l'asticella del prelievo sui super ricchi d'Oltreoceano. Niente di personale, ma visto dalla sponda europea il sistema di aliquote Usa sembra il paese del bengodi: nemmeno con il minacciato inasprimento un americano verserà mai al fisco quanto il suo analogo olandese o – in seconda posizione assoluta – italiano.

Per un single con 350mila euro di reddito e un patrimonio da un milione l'appuntamento con le tasse costa 105.863 euro negli States contro i 176.109 di Amsterdam. E quando ci si ferma a Roma (o meglio, nell'ipotesi in pagina, a Milano) la cifra si attesta a 150.025, contributo di solidarietà compreso. Un buon 50% in più.

Fisco italiano "carissimo", dunque. Ma mentre nella piccola Olanda i contribuenti con oltre 100mila euro di reddito lordo sono 883mila, i confratelli nostrani si fermano a 394.237 mentre a Londra – dove il contribuente dell'esempio versa pochi spiccioli in meno che da noi – sopra la soglia si contano ben 716mila persone.

Prelievo troppo elevato, troppo sparuta la platea dei pagatori benestanti. Un dilemma, quello italiano – complice il nostro altissimo tasso di evasione – che si incunea nella più generale "caccia" ai fondi che vede molti governi occidentali impegnati allo spasimo per far quadrare i conti e difendersi dai rischi dei mercati. E se recuperare risorse è il diktat, «che i ricchi paghino» pare uno dei leit motiv. Con ricette diverse.

La sfida Usa l'ha lanciata in pieno agosto Warren Buffet, "oracolo di Omaha", speculatore e magnanimo donatore di fondi che in verità ha preso di mira i paperoni autentici: chi guadagna dal milione di dollari annuo in su dovrà versare come i dipendenti del ceto medio-alto: il 35% e domani, forse, il 39,5%. Cosa che oggi non accade perché in genere si tratta di forti investitori con introiti da capital gains tassati al 15%. E il Presidente Usa ha raccolto l'invito e l'ha inserito in un piano di risparmi per 4.400 miliardi di dollari in dieci anni.

Sempre in agosto, Luca Cordero di Montezemolo ha proposto l'idea di una patrimoniale sulle fortune contate in milioni di euro al posto del contributo di solidarietà voluto dalla manovra di Ferragosto. Di lì la discussione sulle tasse dei "ricchi" ha continuato a rilanciarsi da un Paese all'altro. In Francia 16 super big hanno stilato un appello di salvezza delle casse nazionali («Tassaci» è stato l'invito a Sarkozy) chiamando i loro pari a metter mano al portafoglio. Detto e fatto, l'esecutivo ha varato un contributo straordinario pari al 3% sui redditi superiori ai 500mila euro; "dimenticandosi", però che appena lo scorso luglio aveva alzato la soglia di esenzione dalla patrimoniale da 800.000 a 1.300.000 euro abbassandone contemporaneamente le aliquote. A inizio settembre, invece, gli inglesi abbienti hanno rilanciato forte e chiaro il proprio «no» all'aliquota massima dal 50% varata nel 2010 per i redditi oltre le 150mila sterline e pagata da circa 320mila contribuenti, l'1% del totale.

Da noi, ora che il prelievo extra sul ceto medio-alto è in vigore e il governo Berlusconi potrebbe presto dover affrontare una nuova robusta correzione dei conti, l'ipotesi di introdurre una patrimoniale sembra rafforzarsi. Si è parlato di un nuovo prelievo da far scattare a partire da 1,2 milioni di euro di patrimonio. E caute aperture sono giunte anche da Confindustria «purché non sia una misura spot, ma inserita in un disegno di riforma» che contemporaneamente abbatta il prelievo su imprese e lavoro.

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