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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2011 alle ore 13:38.
L'ultima modifica è del 27 settembre 2011 alle ore 06:38.
Il premier Silvio Berlusconi era pienamente «consapevole» che le ragazze portate nelle sue residenze da Gianpaolo Tarantini erano delle escort. Lo sostiene il Tribunale del Riesame di Napoli nell'ordinanza con cui ha disposto la scarcerazione di Gianpi e della moglie e il trasferimento degli atti a Bari (aggiornamento delle 13,30).
Il colpo di scena è arrivato poco prima della mezzanotte: il Tribunale del riesame ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per Gianpaolo Tarantini e per la moglie Angela Devenuto mentre l'editore dell'«Avanti!» Valter Lavitola rimane latitante in quanto a suo carico resta in vigore il provvedimento restrittivo emesso a inizio mese.
La portata della decisione dei giudici è però rilevante e clamorosa non tanto per gli attuali indagati quanto per Silvio Berlusconi, che potrebbe passare presto da vittima della presunta estorsione a iscritto nel registro degli indagati.
Il collegio giudicante ha infatti ritenuto sussistenti gli indizi per la contestazione al presidente del Consiglio del reato di istigazione a mentire nei confronti di "Gianpi", che all'autorità giudiziaria di Bari aveva sempre riferito che il premier non era al corrente che le ragazze che "animavano" le serate a Palazzo Grazioli fossero escort pagate dallo stesso manager pugliese. Per questo, hanno deciso ieri i giudici partenopei, il fascicolo andrà a Bari.
L'indagine sulla presunta estorsione a Berlusconi nasce da una più articolata attività investigativa su appalti pilotati e corruzione che vede indagati Valter Lavitola e alcuni dirigenti di Finmeccanica. A far scattare l'inchiesta sono state le intercettazioni telefoniche sulle utenze panamensi, fisse e mobili, utilizzate dall'editore dell'«Avanti!» che risulta tuttora latitante in Sudamerica.
Le prime attività di controllo elettronico risalgono a maggio, ma è tra l'ultima settimana di giugno e le prime tre di luglio che i pm identificano le conversazioni di maggiore interesse investigativo. A metà agosto, la Procura di Napoli invia la richiesta d'arresto al gip Amelia Primavera, che il 31 dello stesso mese emette tre ordinanze di custodia cautelare in carcere. Ma è solo a metà settembre che inizia a profilarsi lo scontro tra l'ufficio giudiziario partenopeo e l'avvocato Niccolò Ghedini, che assiste il Premier. I pm vorrebbero ascoltare il presidente del Consiglio come persona informata dei fatti, dunque senza l'assistenza di un legale e con l'obbligo di dire la verità, ma il presidente del Consiglio, dopo aver dato una disponibilità di massima per un incontro, decide di disertare l'appuntamento e di non presentarsi davanti ai magistrati.
A questo punto, il braccio di ferro è inevitabile e giunge al culmine quando il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, ipotizza l'accompagnamento coatto nei confronti del Premier. La decisione a sorpresa del gip Amelia Primavera di rimettere il procedimento a Roma, dove vivono gli indagati e dove si sarebbe consumato il presunto reato, rimescola le carte.
Ieri sera, però, i giudici del Riesame hanno deciso che la sede giudiziaria dove si dovrà radicare il procedimento è Bari, perché – secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri condivisa in toto dai giudici – quello è il luogo in cui, per la prima volta, "Gianpi" avrebbe "mentito" all'autorità giudiziaria dichiarando il falso a proposito della "natura" delle amicizie femminili del premier, al fine di difenderlo sia dal punto di vista processuale che mediatico.
Non è escluso però che il fascicolo trasferito a Bari per competenza possa essere successivamente trasmesso alla procura di Lecce dove i pubblici ministeri hanno iscritto nel registro degli indagati il capo della procura barese, Antonio Laudati, con l'accusa di aver "rallentato" proprio le indagini sul filone delle escort, sulla scorta degli esposti dell'ex pm Pino Scelsi.
Gli stessi pubblici ministeri napoletani Vincenzo PIscitelli, John Henry Woodcock e Francesco Curcio avevano chiesto nel corso della discussione davanti al Tribunale del Riesame di sottrarre il procedimento alla procura di Roma per spostarlo a Bari o, in subordine, a Lecce.