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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2011 alle ore 22:45.

Valter Lavitola, latitante a Panama è in collegamento alla trasmissione di Enrico Mentana Bersaglio mobile, su La7. È la sua prima intervista da quando è indagato nell'inchiesta della procura di Napoli per una estorsione a Silvio Berlusconi, insieme all'imprenditore Giampaolo Tarantini. «Non so dove è lei e lei, verosimilmente, non ha interesse a dirci dove si trova.
Ma la cosa ai fini giornalistici è molto meno importante di tutto quello che lei dirà», dice il direttore del Tg de La 7 al direttore dell'Avanti! latitante da settimane. Mentana fa sapere che Lavitola si trova in America Latina e che il collegamento tv arriva a Panama ma da lì non è dato conoscere dove termini.
Lavitola rivela che ci sarebbe una telefonata con Silvio Berlusconi che lo scagionerebbe dall'accusa di essersi appropriato indebitamente di parte dei 500mila euro che il premier gli ha fatto avere perchè li consegnasse a Tarantini. «La mia telefonata - dice - è stata fatta dalla stessa utenza argentina usata con Tarantini ma non c'è traccia di questa intercettazione. Perchè?»
Lavitola riferisce poi che, dopo aver parlato con Tarantini, avrebbe poi contattato Berlusconi. Al terzo tentativo (i primi sarebbero andati falliti) il faccendiere sarebbe riuscito a parlare telefonicamente «per nove minuti» con il premier. Il giornalista che volentieri prestava i propri servigi alla causa del premier, come emerso dalle intercettazioni, fa sapere di aver chiesto al suo avvocato di presentare un'stanza («pensavamo a Roma, ma a questo punto la faremo a Bari») per «chiedere se questo tabulato sia vero o falso» e «perché non ci sia questa intercettazione». Poi sostiene di non aver fornito «nessuna scheda telefonica peruviana» ma di aver dato «una scheda italiana al presidente Berlusconi, comprata da un mio collaboratore peruviano». «Ho dato la scheda per timore di essere intercettato, non per i contenuti illegali della telefonata ma perchè parlavo di considerazioni riservate», ha aggiunto.
Quanto a Tarantini, Valter Lavitola lo descrive come «uno scapestrato e non un criminale, anche un po' fesso». «I Tarantini - aggiunge - non sono i mostri che sono stati dipinti, ma ragazzi viziati scapestrati con tre ossessioni: vedere il premier in più occasioni possibili; riuscire ad aiutare un loro amico, l'imprenditore Pino Settani a fare affari con una società vicino all'Eni; avere lavoro e soldi per le loro esigenze».
Lavitola racconta a Enrico Mentana di essersi iscritto alla massoneria quando aveva 18 anni, «in una loggia di Roma perchè mi sembrò, leggendo un libro, che fosse il miglior apprendimento per imparare a stare zitti». Poi ricorda di essere rimasto iscritto per tre anni. «Non so se Berlusconi sia iscritto», ha aggiunto. Con l'intervista a Mentana si dice convinto di poter dimostrare «non sul piano giudiziario, ma su quello mediatico che non sono l'uomo nero». E quando il giornalista gli domanda perché non è rientrato in Italia, risponde: «La libertà è come la vita, diceva qualcuno cui tenevo molto».
Il motivo, a suo dire, si può capire leggendo l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli che ha dichiarato non punibili i coniugi Tarantini, in origine con lui indagati per estorsione ai danni del premier Berlusconi. «Sono certo che di qui a poco la giustizia dimostrerà che anche io non c'entro niente», ha detto Lavitola.
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