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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2011 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 04 ottobre 2011 alle ore 07:41.
Quello che ha le idee più chiare di tutti è Casini. Da quando ha lasciato il Cavaliere alla vigilia delle elezioni del 2008 la sua strategia politica è stata chiarissima: fare di tutto per tornare ad un sistema che non costringa i partiti a scegliere alleati ingombranti prima del voto. Quindi un proporzionale tipo Prima Repubblica, magari camuffato da sistema tedesco o spagnolo. In realtà è quello che voleva fin dal 2005, quando insieme a Berlusconi disegnarono gli elementi essenziali della riforma elettorale (Calderoli fu solo un compiacente esecutore). Anche allora dopo la cancellazione dei collegi uninominali avrebbe voluto un sistema proporzionale senza premio di maggioranza e con le preferenze. Il Cavaliere non gli diede né l'uno né l'altro. Si dovette accontentare della sparizione dei collegi. E non fu poca cosa. La loro scomparsa ha restituito all'Udc autonomia. Con il collegio uninominale Casini sarebbe ancora nel centrodestra.
A sinistra la situazione è apparentemente paradossale. I più convinti sostenitori del referendum e quindi a rigor di logica del maggioritario di collegio sono la Sel e l'Idv, cioè due piccoli partiti che non avrebbero nessuna chance di vincere alcun seggio maggioritario correndo da soli. Ma non sbagliano a preferire il maggioritario al proporzionale. Sanno che con il collegio il Pd deve fare i conti con loro se vuole essere competitivo, a meno di non fare accordi con l'Udc, cosa che in realtà il collegio rende più difficile. In un sistema frammentato come il nostro il bipolarismo paradossalmente avvantaggia i piccoli partiti concedendogli un potere di condizionamento dei partiti più grandi. Le coalizioni pre-elettorali hanno bisogno di loro.
Forse è per questo che il Pd è spaccato tra bipolaristi e proporzionalisti. In fondo è l'unico partito che ancora non ha fatto una scelta chiara. Pur di non scegliere ha presentato in Parlamento una proposta in cui c'è di tutto: collegi uninominali, doppio turno, proporzionale e diritto di tribuna. È una specie di modello ungherese che accontenta per ora le varie anime del partito ma che difficilmente può rappresentare una alternativa all'attuale sistema elettorale. Se si arriverà alla resa dei conti il Pd dovrà scegliere e molti dentro il partito – probabilmente la maggioranza – potrebbero preferire un sistema proporzionale di tipo tedesco o spagnolo.
Questo è il quadro oggi. La conclusione è che il pallino è nelle mani del Cavaliere. Se non cambierà idea sul bipolarismo e se Bossi continuerà a sostenerlo la strada della riforma passa per piccole modifiche dell'attuale sistema elettorale. Ma l'incognita vera a questo punto è la Consulta. Se a gennaio ammetterà il referendum e se l'introduzione del voto di preferenza nell'attuale sistema non servirà a scongiurarlo, allora si aprirà la strada verso le elezioni anticipate. Perché una cosa è chiarissima. Se non cambia il vento per il Cavaliere sarà comunque meglio affrontare la sfida delle urne con questo sistema elettorale e non con il Mattarellum. Poi chi vincerà – se ci sarà un vincitore – deciderà cosa fare.
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